Il cinema da sempre, pur sviluppandosi seguendo gli stilemi specifici di un dato luogo, si è posto come un mezzo fatto di contaminazioni, ispirazioni, sperimentalismi, in un continuum di possibilità che hanno ben presto prevaricato i limiti geografici del suo muoversi. Il poter attingere dall’estero, il poter osservare il lavoro degli altri registi per, magari, tradurlo in chiave differente e più personale, resta uno degli elementi non soltanto più interessanti del mezzo, ma anche dell’approccio all’arte stesso dell’essere umano. Questo Addio al nubilato, attualmente presente su Amazon Prime Video, si apre proprio così, in questo modo, con alcune premesse che, partendo dal trailer stesso, presagiscono una tipologia di film che abbiamo ampiamente visto nel mercato americano, cercando però di integrare al suo interno due elementi precisi: alcuni stereotipi socio-culturali dei giorni nostri e la “leggerezza tipicamente italiana”. Questa leggerezza, ovviamente è tutta da ricercare nella recente produzione cinematografica nostrana e nell’immagine che all’estero si sono fatti di noi partendo dai film che hanno avuto più successo. Si parla di commedie estremamente semplificate nel loro porsi, senza troppe riflessioni o critiche alla Scola o alla Monicelli, ben lungi, quindi, dalla grande stagione cinematografica e intellettuale che il nostro paese visse in tempi ormai lontani.
Di cosa parla Addio al nubilato?
Quattro amiche dai tempi del liceo, Linda (Laura Chiatti), Eleonora(Antonia Liskova), Vanessa (Chiara Francini) e Akiko (Jun Ichikawa), si ritrovano insieme per festeggiare l’addio al nubilato della loro amica Chiara. Ora quarantenni l’addio diventa immediatamente un pretesto sia per ritrovarsi che per rievocare alcuni momenti particolari della loro vita e soprattutto del loro passato insieme. Non vedono Chiara da molti anni e lei, invece di incontrarle di persona propone loro una sorta di “caccia al tesoro” che le vedrà ripercorrere momenti intimi della loro vita, fino a riflettere su loro stesse e sul loro rapporto.
Il film, trasposizione teatrale di un lavoro di Francesco Apolloni, che qui oltre che come regista lavora anche alla sceneggiatura insieme a Fabrizio Nardi, si divide quindi in due parti ben distinte, in due strade che fin dal principio si palesano attraverso le scelte narrative alla sua base, in una storia che alterna i momenti delle protagoniste da giovani, e quelli attuali, nel presente. La scelta di mostrare momenti precisi del loro passato relazionandoli con il presente, contribuisce a pervadere la pellicola di un minimo romanticismo che troverà un’acme con il progressivo sviluppo degli eventi, sviluppo alla base del messaggio del film. Si tratta di donne, di persone, che non soltanto affrontano alcune problematiche passate legate alla loro amicizia, ma soprattutto una riflessione sulla vita stessa, sul tempo che passa e sulle varie scelte che ci portano ad essere quello che siamo, o quello che siamo diventati. Diciamo che la riflessione sull’identità (alle volte anche di genere qui), resta alla base di un film che oscilla anche dal punto di vista del genere stesso in cui classificarlo.
Serietà ma anche comicità non troppo elevata
Ogni protagonista è contraddistinta da una caratterizzazione chiara fin dal principio, anche se parzializzante. Abbiamo Eleonora, ad esempio che si è realizzata come Life coach e che nel suo ambito segue i suoi clienti cercando di insegnare loro l’accettazione (anche fisica) e altro, Vanessa che continua a sperare di sfondare come attrice, Akiko tutta legata ad alcune culture e filosofie orientali non troppo specifiche, Chiara disegnata intorno femminismo… Questa è, infatti, una delle problematiche principali di questo film: la scrittura delle protagoniste. Tutte loro, pur essendo ben comprensibili e facilmente identificabili non vengono minimamente approfondite. I loro dialoghi suggeriscono un’identità precisa all’interno di Addio al nubilato, anche se non si discostano moltissimo da alcuni stereotipi a questa legati. Manca una voglia di andare oltre, voglia che parrebbe affiorare in alcune sequenze, ma che non riesce mai a palesarsi del tutto, mirando principalmente a un intimismo che vuole colpire maggiormente a livello emotivo.
Questo Addio al nubilato tratta principalmente una storia di crescita, una storia che si lega alle protagoniste stesse disegnando, soprattutto attraverso l’utilizzo della colonna sonora, una strada precisa, che conduce in una direzione contraddistinta dalla coscienza di sé, anche di genere, e da un’emancipazione che resta, purtroppo, altalenante nella sua rappresentazione in toto.
Il modello musicale alla base di un messaggio
Come scritto sopra le protagoniste del film sono alla ricerca di se stesse, e questo incontro le porterà ad unire i pezzi della propria vita, in un contesto comunque da commedia. Si parla di una storia estremamente leggera in cui queste si divertiranno e approderanno in tutta una serie di spensieratezze, a tratti anche volgari, curiosamente preminenti. Addio al nubilato è principalmente una commedia, ed è proprio questa sua identità forte ad ottenebrarne tutti, o quasi, gli intenti sociali. Il suo muoversi, svilupparsi sulle note di “Non sono una signora” di Loredana Berté, poi, con le varie citazioni al suo video musicale, restano un tentativo abbastanza indecifrabile di generare una riconoscibilità, che resta fin troppo ancorata alla sfera generazionale di chi guarda. In aggiunta a tutto questo abbiamo la scelta delle varie scenografie che, attraverso una regia piuttosto elementare, diventa ben presto estremamente commerciale, con ambientazioni riconoscibili e inquadrate attraverso uno stile che si fa ingombrantemente pubblicitario nel suo porsi, alle volte scavalcando la narrazione stessa.
In sommi capi Addio al nubilato resta un film estremamente leggero, disegnato da elementi abbozzati che il più delle volte ne limitano gli intenti principali, in una scrittura che alterna momenti abbastanza intimi, momenti leggeri e momenti trash no-sense, in una progressione che non trova un suo obbiettivo definitivo, e un’incisività che avrebbe potuto lasciare, forse, un segno. Le interpretazioni delle sue protagoniste restano divertenti ed abbastanza credibili, anche se troppe cose vengono lasciate al caso.