A Spark Story – Recensione, un progetto Pixar con una propria voce

Nella nostra recensione di A Spark Story ci accingiamo ad illustrarvi le potenzialità espressive e le capacità umane di un progetto così

Nicholas Massa
Di Nicholas Massa Recensioni Lettura da 8 minuti
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A Spark Story

La creatività come mezzo di comunicazione, come strumento attraverso cui non soltanto raccontare qualcosa ma esprimere se stessi pienamente e senza troppi vincoli. La possibilità di avere i mezzi necessari e il controllo totale in progetti con cui trasmettere quello che si ha dentro, ma al contempo avere le capacità necessarie per farlo al meglio. Queste sono le basi fondamentali con cui abbiamo deciso di aprire la nostra recensione di A Spark Story, andando a ricollegarci direttamente con i dettami alla base dell’intera esperienza. Nel corso degli anni i Pixar Animation Studios hanno enormemente dimostrato il proprio valore, arrivando addirittura a rivoluzionare l’animazione stessa attraverso una gamma di possibilità totalmente inedite. L’utilizzo della CGI accompagnato da una maturazione artistica e da una generale eccellenza realizzativa ha fatto di questo studio un vero e proprio diamante, un punto di riferimento del settore dapprima visto con riserbo e in seguito ammirato in toto.

Come tutti sappiamo l’inizio dei Pixar Animation Studios non fu affatto semplice, disegnato da una serie di tentativi attualmente alla base della storia stessa dell’animazione. In un periodo in cui la computer grafica non aveva ancora delineato le proprie potenzialità espressive al meglio, questi studios ci investirono anima e corpo dimostrandone il contrario. I passi non furono semplici, ma una cosa è certa, prima ancora del successo mondiale siglato da una pellicola come Toy Story, i ragazzi di Pixar cominciarono a studiare il mezzo e a sperimentarci sopra attraverso vari cortometraggi. Celeberrimo fu The Adventures of André and Wally B, del 1984, primo cortometraggio in CGI ad avere una propria storia e personaggi. 

A Spark Story recensione

Questa fase storica dello studio fu dunque fondamentale per via della sconfinata libertà creativa che i suoi artisti aveva. Il mezzo era nuovo, le possibilità indefinite e i limiti creativi al minimo. Questo fu il motore pulsante di uno studio che si è sempre distinto per l’originalità dei suoi approcci narrativi, queste le radici fondamentali ad alimentare anche a Spark Story, il documentario di cui oggi vi proponiamo la recensione. Il creare qualcosa, dunque, al centro di tutto, accompagnato dalla volontà di scoprire personalità artistiche del tutto, o quasi inedite.

I cortometraggi come mezzo personale

Alla base di A Spark Story troviamo tutto quello di cui abbiamo parlato fino ad ora. Partendo dalla libertà creativa che i cortometraggi hanno offerto allo studio alle sue origini, gli attuali “capi” hanno scelto di avviare un progetto vi si riallacci. Da tutto ciò ne fuoriescono i cosiddetti SparkShorts. Si tratta di cortometraggi realizzati da alcuni dipendenti Pixar selezionati, atti sia a tornare a quello spirito delle origini tanto decantato e romantico, sia a mettere in luce le nuove voci nelle fila dell’animazione. È questa una delle principali motivazioni ad aprire il documentario: l’obbiettivo è proprio quello di consentire agli artisti di esprimere la propria voce attraverso questo progetto, attraverso questi cortometraggi. Hanno sei mesi di tempo per realizzare tutto quanto e tutti i mezzi per farlo. 

Nello specifico qui avremo a che fare con due personalità ben distinte e precise che hanno avuto la possibilità di diventare registi di questi SparkShorts: Louis Gonzales ed Apthon Corbin. Nel corso del documentario ci vengono presentati entrambi, accompagnati dalle proprie storie personali, e ci viene spiegato il progetto in sommi capi. Il tratto più interessante risiede proprio in questo, nella particolare sincerità che spezza la narrazione in due strade nette: da una parte troviamo questi artisti che parlano di loro stessi, raccontando le proprie storie e vicissitudini, mentre dall’altra li vediamo lavorare a questi cortometraggi che, a poco a poco, prendono vita e forma avanti ai nostri occhi. La commistione tra arte e artista diventa sempre più evidente a mano a mano che la narrazione avanza. Lo fa attraverso le interviste dirette ed i racconti in fase di creazione, oppure mostrando i progressi che i due corti macinano a poco a poco.

Ognuno ha un suo punto di vista differente su come muoversi a livello sia creativo sia produttivo, ed è proprio questo particolare dualismo creativo ad alimentare maggiormente la narrazione, nutrendola di spunti che rompono anche i limiti con lo schermo. Da una parte in A Spark Story troviamo il corto di Louis, Nona, costruito attraverso attraverso un processo creativo abbastanza travagliato ma anche, come leggerete più avanti nella recensione, estremamente personale, e dall’altra con Twenty Something di Apthon, avremo una visione sì similare, ma comunque traslata da un’età differente. L’intimismo intrinseco nel creare questi lavori risulta tangibile, allo spettatore, fin dai primissimi istanti, fin dalle primissime inquadrature e interviste e domande, restando uno degli elementi più preziosi della narrazione.

A Spark Story recensione

Come detto sopra entrambi i corti sono profondamente pervasi da questa enfasi personale a delinearne le radici espressive. Con Nona ci troviamo tra le mani un cortometraggio sviluppato intorno al rapporto tra nonna e nipote, andando però anche a toccare corde parecchio delicate dell’animo umano. Una storia che non si risparmia troppo, affrontando anche tematiche più laterali ed importanti. Con Twenty Something, invece, la storia ruota tutta attorno alle classiche domande della vita, a quelle domande che tutti ci siamo posti e continueremo a porci nel corso della nostra crescita. Il confronto con l’età adulta e il cercare di delineare chi siamo e quello che facciamo, il tutto attraverso una storia che si metaforizza intorno a una protagonista molto particolare.

Sentimentalismo descrittivo

La sincerità quindi spinta nel raccontare e spiegare qualcosa che riesce ad emozionare nelle sue dinamiche creative. È curioso come A Spark Story riesca ad colpire lo spettatore senza mostrargli in toto i cortometraggi di cui tratta, ed è fondamentale sottolinearlo. È proprio questo il valore principale del documentario targato Disney+, il fatto di riuscire ad imbastire un discorso che va oltre il semplice descrivere, arrivando a toccare anche corde più personali ed ispirando qualcosa che va oltre il materiale trattato. Gli interessi economici e creativi di uno studio che si fanno riflessione sull’arte, sull’essere umano, su quello che ha dentro e sul significato che si cela dietro al “creare qualcosa di sincero” con le proprie mani. Tutto ciò e ovviamente tanta pubblicità agli Studios.

A Spark Story
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Adora i videogiochi e il cinema fin dalla più tenera età e a volte si ritrova a rifletterci su... Forse anche troppo. La scrittura resta un'altra costante della sua vita. Ha pubblicato due romanzi (a vent'anni e venti quattro) cominciando a lavorare sul web con varie realtà editoriali (siti, blog, testate giornalistiche), relazionandosi con un mondo che non ha più abbandonato.