Ma voi… lo ricordate Call of Duty? Io no. E non mi venite a dire che Black Ops 4 è dell’anno scorso, perché basta fare due domande in giro e sentire che qualunque tipo di giocatore lo chiama per lo più “Blackout” e non col nome originale: la nuova modalità ha occultato quasi completamente il titolo del gioco stesso, e questo perché Call of Duty: Black Ops 4 è completamente scollegato dal filone storico della serie. Con questo NON sto dicendo che questo titolo sia brutto, che non valga nulla o altro: il gioco funziona, è divertente e ben realizzato, ma semplicemente non è un COD originale. E’ come prendere due prodotti della Samsung e confrontarli: essere della stessa marca non importa se state confrontando un S9 con un condizionatore. Chiusa questa piccola parentesi sull’ultimo capitolo, andiamo a discutere di come VOGLIAMO il prossimo Call of Duty.
C’era una volta
Come al solito, non si può parlare del futuro senza un minimo accenno alle origini. La serie di sparatutto in prima persona più famosa del mercato console ottenne un enorme successo soprattutto con i primi 6 capitoli, con la seguente divisione: i primi tre per Sony PlayStation 2 e i seguenti nella generazione successiva. Questa divisione non segna solamente il comparto tecnico delle macchine, ma anche uno stacco importante nelle caratteristiche introdotte in tali sezioni. Nella prima, Call of Duty si afferma come un gioco di guerra che narra le vicende dei conflitti mondiali con una campagna realizzata ad-hoc, mista di un’ottima narrazione ed un gameplay intrigante, che ti faceva sentire parte dell’azione. Nella sua seconda “metà” invece il team si è concentrato sul gioco online e sul creare un sistema multiplayer che potesse essere sì alla portata di tutti, ma al contempo era necessario rendere possible – per chi volesse farlo – specializzarsi nel gioco e raggiungere livelli di abilità sempre più alti, e quindi che le meccaniche di gioco lo permettessero. L’esempio perfetto di questo obiettivo è la saga dei Modern Warfare, la quale proponeva un gameplay misto di velocità ma non frenesia, strategia ma non immobilità e semplicità di accesso ma altrettanta difficoltà nel “masterare” il gioco.
Infine, a mio parere, vi è un caso particolare: la poesia su schermo chiamata World at War. Call of Duty qui raggiunge il suo apice massimo, con una campagna studiata su mappe enormi ma per niente dispersive, personaggi ben caratterizzati, un’intelligenza artificiale curatissima e missioni per niente ripetitive, il tutto unito da una narrazione in stile documentario autobiografico scritta con la massima precisione. E no, il gioco non si limita a ciò, perché una volta terminata la campagna si volava sul multiplayer di CoD con mappe enormi, la possibilità di usare veicoli e poche armi (5 per ogni tipologia, per 5 tipologie) delle quali però nessuna è sbilanciata rispetto alle altre, ma ognuna andava scelta in base al proprio stile di gioco e la strategia da adottare: il PPSH e l’MP40 rientrano entrambe nella categoria delle Mitragliette, ma mentre la prima è più adatta al combattimento ravvicinato col suo rateo elevatissimo, la seconda permette un approccio più eclettico, mantenendo comunque una moderata precisione a scapita di un rateo più basso. Un bilanciamento del genere è stato un caso più unico che raro, poiché per la costruzione di molteplici armi risultava impossibile un bilanciamento tra tutte e ogni volta vi era una scelta migliore di tutte le altre.
La prossima pagina
Ma ora non fissiamoci sul passato, visto che oggi noi vogliamo guardare al futuro: come dovrebbe essere un nuovo Call of Duty per poter accontentare sia le vecchie sia le nuove generazioni di giocatori, che cercano qualcosa di moderno ma che “sappia di storia”? Qui arriva il punto critico di ogni “nuova scelta”, abbandonare il vecchio format per una nuova scommessa o rimarcare qualcosa di già visto? Sicuramente questa non è una scelta da prendere alla leggera, ma un brand del genere può azzardare. Dopotutto, ha un 50% di probabilità di successo ed un 50% di fallimento, ma se abbiamo perdonato abomini del calibro di Ghost, perché dovremmo dimenticare un tentativo fallito di una nuova IP di migliorarsi? Ci sono stati casi – come ad esempio The Division o Rainbow Six: Siege – dove il gioco di partenza venne condannato parecchio e giudicato “non all’altezza”, ma che col tempo sono riusciti a rinascere, grazie allo studio che non ha perso le speranze supportando i titoli con continui aggiornamenti e nuovi contenuti.
Se dovessimo proprio parlare del COME vorremmo vedere il gioco, anzitutto bisognerebbe trovare un arco storico-temporale nel quale ambientarlo, e di casi inesplorati ve ne sono molti. Le due guerre mondiali sono state trattate più e più volte, dunque sarebbe meglio accantonarle e avvicinarsi maggiormente alla contemporaneità. Eventi come la crisi di Zanzibar o la caccia al terrorismo in Medio Oriente sono scenari di guerra visti veramente pochissimo in gioco, e la vicinanza temporale con i giorni nostri darebbe anche agli sviluppatori la libertà di selezionare l’equipaggiamento tecnologico da inserire, e magari “metterci mano”. Scelto il periodo, bisognerebbe poi trovare il genere. Sicuramente Call of Duty non può non essere uno Sparatutto in Prima Persona, ma ancor di più deve riacquisire un titolo, il gioco “di Guerra” per eccellenza. Oltre ad una campagna per giocatore singolo ben strutturata, stavolta è necessario mettere mano al comparto multigiocatore. Sapete qual era una critica da sempre mossa al titolo? Quella che in realtà non si percepiva la vera sensazione di essere in guerra, ma più quella di uno spara-spara. Ora arriva il momento di entrare a gamba tesa, con degli scontri tra fazioni che si combattano un obiettivo in una modalità simile a Dominio, un Deatmatch a squadre o il trasporto di un carico… ma in GRANDE.
Leggendole, le modalità sono molto simili a quelle già presenti nei Call of Duty soprattutto della generazione precedente, ma il punto è che le mappe di gioco e le meccaniche sembravano molto più orientate alla performance della singola persona, soprattutto in mappe molto grandi con 8 giocatori per squadre (che raramente erano connessi tutti); le mappe andrebbero riformate, magari con due o più fronti e una zona centrale orientata allo scontro tra le fazioni. E proprio le fazioni dovranno essere il fulcro del gioco: nessuno si sognerebbe di giocare ad Overwatch con un team di soli Attaccanti; quindi, come in quest’ultimo sono necessari Tank, Curatori e via dicendo, lo stesso discorso deve valere per COD, perché è così che funziona la guerra.
Ingegneri che piazzano strumenti per rilevare il nemico e dare supporto ai compagni, Cecchini che tengono sotto tiro la “zona calda”, Medici che possono dar supporto ai compagni feriti, Artificieri, Spie e via dicendo. Di idee ve ne sono molte, sono solo da attuare. Questo porterebbe a due vantaggi: il primo è quello di intensificare il lavoro di squadra, dove ogni giocatore può specializzarsi nel ruolo che preferisce, e soprattutto permette di apportare modifiche al team di sviluppo, aggiornando magari le abilità dei vari ruoli e via discorrendo. Queste sono tutte idee che se ben amalgamate potrebbero dare vita ad un gioco “definitivo”, uno che possa diventare un punto fisso – come per l’appunto Rainbow Six od Overwatch – che col passare degli anni comunque non varia, ma che si aggiorna ed evolve nel tempo. Call of Duty ha tutte le carte in regola per ritornare in vetta alle classifiche e riottenere un posto nel cuore dei giocatori… dunque perché, con tutte queste carte a disposizione, si accontenta di un tris quando potrebbe metter su una scala reale?