Un altro film dell’edizione fantasma del Festival di Cannes 2020 vede il buio della sala nello spazio della Festa del Cinema di Roma, Eté 85 (Estate 85) il nuovo film diretto dall’ l’enfant terrible della scena cinematografica francese François Ozon, sfuggito più e più volte – in trent’anni di carriera – a una definitiva classificazione critica e artistica. Esemplare il caso del critico francese René Prédal che, dopo aver inventariato il cinema ozoniano degli anni Novanta nella sezione trasgressioni violente e attacchi radicali contro la famiglia come istituzione, nel suo studio sul cinema francese dopo il 2000 si trova nel difficile compito di ricollocare la produzione del regista. Se il primo problema riguarda il posizionamento di Ozon come artista (il suo è cinema d’autore o nuova qualità francese?), quello successivo è ben più spinoso: rendere conto della natura cangiante del suo cinema. Esiste, insomma, un elemento comune tipicamente “ozoniano”?
Certo, alcuni temi comuni sembrano persistere nella sua filmografia: oltre alla critica della famiglia borghese, Ozon sembra prediligere la crisi identitaria, il lutto, un certo rapporto evocativo al cinema di Fassbinder e i temi della trasformazione e della metamorfosi. E qui forse troviamo una risposta (anche se non del tutto soddisfacente) alla domanda sulla poetica ozoniana, un concetto di “fluidità” che secondo Thibaut Schilt costituirebbe il nucleo del cinema di Ozon, l’esigenza di cambiare continuamente pelle, dove <<la traccia persiste nella metamorfosi stessa>>.
Un nuovo futuro?
Tratto dal romanzo per young adults Dance on My Grave di Aidan Chambers, questo nuovo film racconta l’estate di Alexis (Félix Lefebvre), un sedicenne con una certa fascinazione per la morte e un talento per la scrittura, appena trasferitosi con la famiglia nella cittadina costiera di Treport, in Normandia. Alla ricerca disperata di un amico e nel pieno di una crisi riguardo il suo futuro, il ragazzo viene salvato durante un incidente in barca da David (Benjamin Voisin), un giovane di diciotto anni che vive da solo con la fragile madre (Valeria Bruni Tedeschi) dopo la morte prematura di suo padre.
Alexis, rimasto folgorato dal ragazzo per la sua bellezza, il suo carisma e la sua implacabile joie de vivre, pensa di aver trovato finalmente l’amico che ha sempre sognato e i due stringono immediatamente amicizia. Ma ben presto questo rapporto si trasforma in qualcosa di più, lontano da qualsiasi tipo di definizione, a metà tra passione amorosa e affetto fraterno. Un sogno che si avvera, ma quel sogno è destinato a sopravvivere fino alla fine dell’estate?
Eté 85 è un film che fugge le classificazioni di genere e di stile: a tratti rimanda al crime drama stile Billy Wilder, qua e là cita la nouvelle vague francese di Truffault, in alcuni momenti ricorda il nuovo cinema erotico di Kechiche e la lista continua. Abbiamo appurato che Ozon ama sfuggire agli incasellamenti, ma individuiamo comunque il tema della trasformazione tipico del suo cinema nella natura fluida e inafferrabile di un rapporto tra due giovanissimi ragazzi: prima una amicizia esplosiva, poi una passione bruciante, che diventa veloce disprezzo a cui segue una tragica fine. Un rapporto che nonostante tutto non smette di mutare attraverso Alexis: da dolore e senso di colpa, a mancanza e rabbia, che diventa poi finalmente realizzazione e speranza.
Un romanzo di formazione e di autoscoperta a tinte anni ’80, Eté 85 esaurisce in poco tempo idee già abbastanza confuse, per finire incastrato in un limbo immobile ad appena metà film. Il tema del cambiamento, dell’incertezza, della fluidità inarrestabile dei sentimenti giovanili necessitava di un registro decisamente più mobile e attivo di questo, colpevole di tanto in tanto di pochezza nelle esecuzioni. Non si può dire che il film di Ozon sia un nulla di fatto, ma è ben poca cosa di fronte a una sua filmografia che conta lavori ben più memorabili di questo.