System Shock, ancor prima di un fps, è una sorta di piccola capsula del tempo, in grado di mostrare alle generazioni attuali quale fosse la concezione di sparatutto in prima persona a metà anni ’90, a cavallo tra la primissima era del genere e la sua golden age assoluta. Un videogioco che ci ha portato a chiederci come approcciarvi, ma ancor di più a domandarci se titoli del genere siano davvero fruibili appieno al giorno d’oggi. Per rispondere a queste e altre domande sul remake di System Shock tuffiamoci nella recensione!
Un ostico ritorno alle origini
Al giorno d’oggi si possono creare tanti tipi di remake, da quelli che riadattano in veste moderna quasi solo il comparto tecnico/grafico, a quelli che invece ripensano da zero o quasi l’intera struttura del gioco in termini di meccaniche e bilanciamento. Un esempio per ogni casistica potrebbe essere il remake della prima trilogia di Spyro da una parte e Final Fantasy 7 Remake dall’altra. System Shock appartiene alla prima categoria, quindi si cambia l’abito in termini di grafica ma mantiene pressoché intatto il cuore videoludico che lo caratterizzava nel 1994. Con esso si porta dietro ovviamente tutta una serie di scelte, meccaniche e soluzioni di level design figlie di un’epoca videoludica completamente diversa da quella attuale. Era importante fare questa contestualizzazione per comprendere l’origine della formula di gioco da adesso in poi, quindi possiamo finalmente passare all’analisi del titolo.
System Shock è uno sparatutto in prima persona che ci mette nei panni di un hacker senza nome, che prova ad accedere a una stazione spaziale chiamata Citadel, di proprietà della TriOptimum. Il nostro alter ego misterioso viene però catturato mentre prova ad accedere ai sistemi di Citadel, per poi ricevere una proposta dallo stesso CEO della TriOptimum Edward Diego: l’hacker si dovrà occupare di hackerare l’IA SHODAN che ha il controllo della stazione, e in cambio riceverà quello che cercava di ottenere “per vie traverse”, ossia un impianto chirurgico e un’interfaccia neurale. Non di buonissimo grado accettiamo l’incarico e veniamo sottoposti a un sonno criogenico per 6 mesi, dal quale ci risveglieremo direttamente nella Citadel, con una SHODAN che nel frattempo ha a dir poco dilagato, massacrando l’equipaggio attraverso il controllo dei robot a bordo e con ora l’intento di puntare direttamente alla terra.
Un setting tanto intrigante quanto ostico per il giocatore, in quanto la Citadel è un’ambientazione davvero molto labirintica, per non dire claustrofobica da esplorare. Il level design è stato infatti pensato come venivano i concepiti gli fps quasi 3 decadi fa, ossia con una struttura che oggi ritroviamo spesso nei metroidvania. Ci troviamo quindi in un ambiente esplorabile liberamente e pieno di minacce, informazioni da raccogliere e obiettivi da raggiungere per progredire, come il ritrovamento di chip d’accesso per stanze inizialmente bloccate. Un vero proprio dedalo di corridoi e stanze di vario tipo e dimensioni, divise in zone necessarie per l’avanzamento e altre completamente opzionali, ma contenenti risorse preziose per proseguire più “comodamente”, come armi e munizioni extra o qualche cura in più.
Le risorse sono di fatto abbastanza limitate, si ha spesso un feeling da survival, e il rimanere a corto di modi per curarsi (o peggio per difendersi dai nemici che incontreremo) è uno scenario sempre dietro l’angolo se non si gestisce bene quello che si ha a disposizione.
Affinché non si resti a corto di risorse è fondamentale quindi esplorare da cima a fondo ogni angolo della Citadel, nella quale anche la più inutile delle cianfrusaglie torna utile in qualche modo. Infatti è possibile frantumare ogni oggetto che si raccoglie per ottenere delle unità di Scraps, quindi rottami in piena regola, e ogni 10 Scraps è possibile riscattare in punti appositi un’unità di Credits. Questi ultimi possono essere spesi in altri punti appositi, come delle macchinette simil distributori automatici, per fare incetta di qualche risorsa utile (dalle munizioni alle cure, passando per perk di vario tipo). Alcuni oggetti hanno anche un valore direttamente in Credits oltre che in Scraps, quindi possono essere convertiti direttamente in delle unità dei primi per ottimizzare il tutto.
Bisogna stare molto attenti a gestire l’inventario, dato che in perfetto stile Diablo ogni oggetto o armamentario occuperà un certo numero di slot, quindi fare management delle risorse è fondamentale. Apprezzabile in tal senso il poter ruotare in verticale o in orizzontale gli oggetti, così da incastrarli a piacimento per far entrare tutto quello che ci serve (nei limiti del possibile).
Un sistema di progressione che valorizza molto l’esplorazione del giocatore, il quale troverà sempre una ricompensa – anche solo minima – nell’aver spulciato ogni centimetro, partendo dal meno utile degli oggetti, fino ad arrivare a macchinette automatiche piene di risorse da acquistare con i credits accumulati, e armi vere e proprie con le quali affrontare i nemici. Un ottimo punto di collegamento per passare dalla progressione al vero e proprio gameplay.
System Shock è senza ombra di dubbio un buonissimo shooter, e ai tempi la qualità percepita era anche molto più alta, però va sottolineata una cosa alla luce di quanto detto finora. Avendo risorse relativamente limitate non è possibile approcciarsi “alla Rambo”, sparando a destra e sinistra indiscriminatamente con tutta la potenza di fuoco che abbiamo.
Bisogna trarre il massimo da ogni proiettile a nostra disposizione, anche alternando l’uso di armi da fuoco con quello di oggetti contundenti quando magari la situazione lo permette, altrimenti avanzare all’interno di System Shock non sarà semplice. Ripulire l’area circostante è inoltre vitale anche per un discorso esplorativo e di “libertà mentale”, perché per girovagare e risolvere in tranquillità gli enigmi è meglio non avere presenze indesiderate tra i piedi, che siano mostri o robot di vario tipo. Non manca nemmeno la varietà delle situazioni, con fasi nelle quali la cautela deve regnare sovrana, e altre nelle quali potremo essere il rullo compressore di turno (un po’ in stile “non sono io rinchiuso qui con voi, siete voi rinchiusi qui con me”) e va ammesso come la soddisfazione di sgominare determinate minacce, alla luce delle poche risorse disponibili, può essere anche molto forte.
Una varietà alimentata anche dalle sezioni di hacking, nelle quali si fa sempre shooting, ma in una dimensione cibernetica, ed esplorabile in modo diverso rispetto alla Citadel, con un movimento a 360° su tutti gli assi il cui feeling particolare, al netto dei gusti che potrebbero portare ad apprezzarlo o meno, è uno stacco significativo rispetto al come si esplora, e combatte fuori da queste sezioni. Ottimo anche il mettere a disposizione proiettili infiniti nelle sezioni d’hacking in questione, perché è un’eccellente valvola di sfogo per il giocatore di System Shock (abituato a sentirsi in colpa se parte un proiettile di troppo dall’arma).
La formula di gioco è quindi abbastanza solida e a fuoco: sono chiare le intenzioni dietro ad ogni scelta, e il come si cerca di metterle in pratica, però c’è un motivo se in apertura avete letto termini come ostico o anacronistico.
Si tratta di una formula di gioco spesso punitiva, soprattutto se si scelgono livelli di difficoltà più alti del normale, e in tal senso è ottimo il poter decidere cosa rendere difficile e cosa no prima di iniziare (invece di una generica selezione della difficoltà si possono bilanciare le situazioni singolarmente, come la difficoltà relativa ai nemici o quella per le sequenze d’hacking). Il level design però – e questo non è modificabile con difficoltà diverse – ci è sembrato spesso un po’ troppo labirintico con tante stanze e corridoi simili tra loro, e per quanto magari possa esser stata una scelta per alienare il giocatore (oltre che in connessione con l’art direction di una Citadel che deve dare questo feeling) comunque è stato frustrante trovare “la via d’uscita” in determinate situazioni.
In System Shock al di là dei vari nemici che possono metterci il bastone fra le ruote, che sono una spina nel fianco ma fino a un certo punto, a mettere più in difficoltà chi gioca è proprio il trovare la strada giusta per avanzare o il modo per sbloccarla, che richiede prima di ogni altra cosa tanta (ma tanta) pazienza.
Non ci sono modi o modalità che facilitano questo aspetto del gioco, e se siete giocatori poco avvezzi a queste esperienze, e magari preferite giochi meno frustranti che tendono un po’ più a tenervi per mano, System Shock potrebbe non fare al caso vostro, perché l’approccio è diametralmente opposto. Se invece siete gamer di vecchia data o, ancor meglio, amate essere lasciati a voi stessi in generale per poi dovervi arrangiare, allora System Shock è un gioco perfetto per voi.
Non parliamo di fattori che lo rendono brutto o bello a priori, è semplicemente molto alla vecchia maniera e ciò può piacere o meno, sono “solo gusti”, e non si possono nemmeno pretendere soluzioni di level design più moderne da un remake che si rifà (fedelmente) a un gioco del 1994, quindi alcune cose sono solo invecchiate meno bene di altre e comunque dei miglioramenti rispetto all’originale, sotto altri aspetti, ci sono stati.
Il comparto tecnico di System Shock
Finora in questa recensione abbiamo parlato di System Shock in modo diretto e senza fronzoli e intendiamo farlo anche per quanto riguarda la componente tecnica, quindi senza troppi giri di parole va detto che questo remake è tecnicamente troppo mediocre per essere il 2023, a tratti neanche poi troppo accettabile.
Avvicinarsi a un macchinario o una qualsiasi superfice, anche giocando a dettagli grafici massimizzati (parlando della versione PC, al momento l’unica disponibile) evidenzia delle texture talmente sgranate da rimanere interdetti.
Non vogliamo ovviamente distruggere quanto di buono c’è ludicamente accanendoci su queste cose, ma non possiamo ignorare come il comparto grafico di un remake (che per sua definizione dovrebbe fare di esso un punto di forza anche solo minimo) sia così tanto messo male nei dettagli. E usiamo il termine dettagli perché se si vedesse uno screen del gioco, magari a una risoluzione anche alta e senza osservarlo con una certa attenzione, il colpo d’occhio non sarebbe nemmeno poi troppo malvagio, sono appunto i dettagli a rovinare “la magia”.
Meglio il comparto audio, con rumori ambientali utili a capire se ci sono nemici fuori dal nostro campo visivo e, se sì, dove di preciso, però non parliamo di chissà quale eccellenza in termini di audio spaziale. Un peccato che il comparto tecnico sia parzialmente deficitario, perché pur non rovinando l’esperienza di gioco non la impreziosisce come ci si aspetterebbe da un remake del 2023, anzi.
In definitiva System Shock è un gioco promuovibile? Al netto di tutto sì, parliamo comunque di un autentico classico del genere che mischia il gameplay action degli fps con una forte componente esplorativa e la presenza di enigmi ambientali. Una formula di gioco che non è invecchiata nel cosa propone, ma la è in parte nel come, soprattutto come detto in termini di leggibilità del level design. L’unica vera e grossa pecca oggettiva, non dipendente da gusti personali, è un comparto tecnico con più di qualche falla nei dettagli grafici. Non è un gioco per tutti, ma se ve la sentite di fare un tuffo nel passato e vedere come erano intesi gli fps per PC una volta allora sì, questo remake di System Shock è l’ideale in tal senso.