Avete mai sognato di arrivare là dove occhio umano non si è mai posato? Di esplorare luoghi ignoti e misteriosi, ricchi di pericoli quanto di oggetti dalle proprietà strabilianti? Se ciò vi fa fremere dall’entusiasmo, raccogliete tutto il vostro coraggio e tuffatevi nelle profondità dell’Abisso!
Made in Abyss: Binary Star Falling Into Darkness, che analizziamo oggi in recensione, è un 3D Action RPG sviluppato da Spike Chunsoft per PS4, Nintendo Switch e Steam. Rilasciato il 2 settembre 2022, si basa sull’omonimo manga di Akihito Tsukushi, già adattato in una serie anime da Kinema Citrus, e lo stesso autore si è occupato anche di supervisionare questa rielaborazione. Il gioco si divide in due parti: Hello Abyss, ossia la “modalità storia” che segue per sommi capi la prima parte delle vicende dell’opera originale, e Deep in Abyss, che si sblocca solo al termine della modalità precedente, dove si conduce un personaggio caratterizzabile dal giocatore in una storia inedita.
Come in ogni spedizione ci si muove in gruppo, il resoconto di questa singolare esplorazione è frutto della collaborazione e del confronto tra due esaminatori: Davide Longobardi, il quale ha dato maggiore attenzione alle questioni tecniche e di meccanica del gioco, e Sara Martinelli, che invece ha dato più peso allo spulciare i dettagli e le differenze tra gli adattamenti. Con questa premessa che unisce due voci creando un sol coeso pensiero, lo scopo è quello di elaborare un’attenta analisi senza sottovalutare ogni aspetto del progetto, partendo dal videogioco e le sue caratteristiche, citando l’opera originale fino ad arrivare dove si estende la fedeltà di quest’ennesimo adattamento.
Un po’ di studio prima di partire
Gli eventi del nostro resoconto si ambientano su un’isola sperduta, un luogo ignoto e misterioso forato da un’enorme voragine ribattezzata “l’Abisso”. Nonostante i pericoli di una natura antica e singolare, sempre più persone sono state conquistate dal sogno di far facili fortune con i tesori qui nascosti: così, ben presto, è sorta una città sul suo orlo, Orth.
Tra i vari edifici presenti in città vi è un orfanotrofio, i cui ospiti diventano Cave Riders, ossia Esploratori dell’Abisso: essi sono classificati con un sistema di fischietti che, tramite il colore, determina la profondità entro cui possono scendere, basandosi sulle loro capacità e sulla preparazione psico-fisica. In Hello Abyss ritroviamo Riko, una dodicenne energica e combinaguai, decisa a lasciare l’istituto per raggiungere clandestinamente il fondo dell’Abisso e cercare sua madre nonostante sia solo un fischietto rosso (ossia il livello più basso tra i Cave Raiders); ad accompagnarla c’è Reg, una sorta di robot dall’aspetto fanciullesco, che sembrerebbe essere risalito proprio da quei meandri ma che purtroppo ha perso la memoria.
La storia di per sé è raccontata in modo alquanto fedele, anche se – probabilmente per ovvie ragioni – in maniera ben più asciutta, essendo priva della maggior parte di quelle informazioni di contorno che nella storia originale forniscono pillole di contesto aggiuntive, sia sui personaggi che sulla loro cultura legata alla voragine. Il problema, però, inizia a sorgere spostando lo sguardo sulla parte ludica vera e propria: questa modalità, pensata praticamente come un lungo e obbligatorio tutorial nemmeno così necessario, presenta infatti un gameplay ridotto all’osso e un percorso univoco dall’inizio alla fine, nell’obiettivo di semplificare il tutto. Il risultato, però, è stato solo quello di privarlo di gran parte del divertimento che il titolo può offrire, amplificando il senso di frustrazione del giocatore che può essere tentato di mollare tutto prima di vedere quello che si potrebbe definire “il vero gioco”.
Deep in Abyss fa invece da vero e proprio continuo alla modalità precedente, quando all’orfanotrofio giunge un altro bambino determinato a diventare un Cave Raider di più alto livello, ossia un fischietto bianco. Assieme ai suoi compagni, tra cui altri tre bambini novizi, dovrà guadagnare esperienza e prestigio per raggiungere l’agognato fondo dell’Abisso.
La varietà degli obiettivi, così come la libertà nell’esplorazione, aggiungono finalmente un maggiore senso di respiro al gameplay, adesso più simile a quello di un open world con meccaniche survival. Nonostante non sia scevro di difetti, infatti, anche la sola possibilità di trovare e rivendere le diverse reliquie sparse tra i diversi strati e quella di riempire il diario osservando ogni creatura, dà al giocatore la voglia di scoprire quel che questo mondo, seppure senza scrupoli, riserva ad ogni anfratto. Per quanto riguarda la trama invece, come già anticipato, questa modalità presenta una storia esclusiva che si affianca e s’intreccia con quella originale, includendo sia tutti i protagonisti di Hello Abyss che molti altri presenti nella serie, oltre ad introdurre un buon numero di nuovi personaggi.
Visitare una città ai confini del mondo
Per entrambe le modalità, il gioco inizia nell’orfanotrofio. L’edificio, per cui sono state modellate solamente le stanze principali, è praticamente privo di esplorazione ambientale, in quanto non si può interagire con gli oggetti presenti o con le sue parti architettoniche, tantomeno percorrerne i corridoi; per passare da una sala all’altra, infatti, bisogna utilizzare un menù testuale ad elenco che si apre ogniqualvolta si imbocca un’uscita. Insomma, lo scopo ricoperto da queste stanze è più che altro quello di ospitare i personaggi secondari, con cui si può parlare e da cui eventualmente ricevere missioni.
In Hello Abyss, purtroppo, l’impressione generale che deriva da queste scelte è quella di avere ambienti realizzati con l’unico scopo di strizzare l’occhio ai già fan della serie, in quanto spesso e volentieri le poche stanze visitabili risultano vuote e inutili; questo senza contare la desolazione dettata dall’assenza di altri bambini oltre a quelli principali, persino nelle cutscene di lezione nell’aula. Per fortuna, ciò è mitigato in Deep in Abyss, nonostante il numero di stanze sia addirittura aumentato: ciò perché la necessità di tornare continuamente in superficie rende non solo questo tipo di navigazione più veloce e quindi comodo a lungo termine, ma le diverse stanze sono in qualche modo più vissute, grazie anche all’aumento dei personaggi presenti per via dei nuovi bambini introdotti nella trama.
In modo simile è strutturata la città di Orth, che si raggiunge lasciando l’orfanotrofio: ad ogni pulsante della lista corrisponde un negozio, composto da uno sfondo statico, dove il proprietario ci chiede di cosa abbiamo bisogno e, di tanto in tanto, parla con noi. Inizialmente spiazza negativamente la presenza, a scopo rappresentativo, della sola bottega di Laffi, che si occupa principalmente di cibi e spezie; nella modalità Deep in Abyss, invece, il quantitativo di negozi finalmente aumenta e si fa variegato, permettendoci di acquistare diverse categorie di prodotti tipica dei RPG: oltre al cibo si va dai vestiti alle armi, dagli oggetti agli antidoti, fino alla rivendita di cimeli. Si aggiunge, inoltre, l’accesso alla Gilda, la quale fornisce un cospicuo numero di missioni secondarie, arricchendo così l’esperienza ancora di più.
I dialoghi, realizzati a mo’ di visual novel, sono solitamente lineari o al massimo composti dalla scelta di procedere o temporeggiare; sporadicamente, però, si può anche presentare una vera e propria risposta multipla: nonostante ciò, così come capita spesso in giochi del genere, gli esiti appaiono differenziati davvero poco o nulla, al punto da renderla una caratteristica alquanto superflua e che non incuriosisce.
Mens sana in corpore sano
Il personaggio che andiamo a muovere, come ogni Cave Raider che si rispetti, ha lo scopo di esplorare le diverse aree dell’Abisso, racimolare risorse e reliquie e, ovviamente, sopravvivere. Per quanto lo riguarda, in alto a sinistra dello schermo abbiamo tre indicatori: la salute, che si riduce ad ogni colpo subito o caduta rovinosa; la sazietà, che diminuisce muovendosi e che, quando scende al minimo, azzera anche la stamina finché non si mangia; e la stamina, necessaria per ogni azione fisica, che sia schivare, arrampicarsi, correre o attaccare, e che si riempie in maniera automatica.
È da tenere presente che, se la stamina si dovesse prosciugare completamente durante un’attività, come può essere lo scatto o una scalata, il personaggio perderà l’eventuale presa e s’immobilizzarà del tutto finché non si ristora: per questo motivo, la decisione di porre la sua barra così lontana dal personaggio, probabilmente ripresa dai giochi soulslike – con cui sembra condividere altre caratteristiche – potrebbe esser vista come discutibile in quanto relativamente scomoda, sebbene ci si possa fare l’abitudine.
Indubbiamente bisogna ricordarsi di tenerla sempre d’occhio, soprattutto nelle fughe o nei combattimenti più concitati, per non rischiare di restare immobile nel bel mezzo dei colpi nemici; del resto, il segnale dell’avvicinarsi al suo termine, ossia uno spruzzo di goccioline di sudore sul capo del personaggio, risulta privo di indicazioni sonore e non abbastanza evidente da indicarne il pericolo. Una piccola parentesi va inoltre dedicata alla schivata: l’attribuzione di quest’azione allo stesso pulsante della corsa appare alquanto insolita e non molto naturale, in quanto, essendo un’azione basata sulla prontezza del giocatore, la sua attivazione tramite la doppia pressione del pulsante risulta poco spontanea.
Crescere per affrontare le insidie
Se in Hello Abyss l’evoluzione del personaggio è completamente bloccata, così come il crafting ridotto a pochissimi elementi, la crescita nel gioco principale avviene invece in più ambiti, i cui principali sono guadagnare livelli e la scelta dell’equipaggiamento. Come è tipico dei giochi che ospitano questo sistema, i livelli si guadagnano tramite l’acquisizione di punti esperienza; in questo caso, però, essi non si ottengono combattendo, bensì attraverso due metodi: il primo consiste semplicemente nel portare a termine le missioni, primarie o secondarie che siano; il secondo invece è dedicarsi alla rivendita dei cimeli raccolti nell’Abisso, i quali danno più esperienza quanto più alta è la loro rarità. Ciò costituisce una variazione interessante e coerente con l’ambientazione, in quanto fa sì che la maggior parte delle battaglie non risultino affatto necessarie; fuggire dai nemici comuni o evitare lo scontro con quelli più difficili, insomma, è un qualcosa che si può fare senza tanti rimorsi.
Uno scopo fondamentale per cui innalzare il proprio livello è sicuramente quello di ottenere i punti abilità, necessari per sbloccare i frutti dei tre alberi delle competenze presenti: essi servono sia ad aumentare le liste delle diverse cose creabili, sia a garantire caratteristiche che migliorano l’esplorazione o le abilità in combattimento, come la possibilità di consumare alimenti mentre si è appesi al muro o di poter creare una combo di attacchi. Non sono però molte le abilità di volta in volta disponibili, in quanto esse sono divise in base al colore del fischietto che cambia solo completando le varie missioni di trama; è inoltre privo di altri metodi per investire i punti acquisiti e ad ogni livello l’aumento delle statistiche è alquanto lesinato, rendendo il farming non molto proficuo.
Passando all’equipaggiamento, una sensibile differenza, soprattutto nelle statistiche difensive e offensive, è fornita dai vestiti e dalle armi. La varietà dell’armamentario è buona, introducendo armi a distanza oltre a quelle da mischia, e si possono anche aggiungere status alterati al danno; esse però hanno una durabilità limitata e un numero limitato di proiettili, per cui bisogna essere sempre in grado di averne qualcuna di scorta… cosa non sempre facile.
Riguardo ai vestiti, invece, essi fungono da “armature” per il nostro protagonista: ne è presente una varietà generosa, sommata agli oggetti dei personaggi della serie originale, ed offrono anche spazi per indossare amuleti di diverso tipo, in modo da aggiungere vari bonus. C’è da dire, però, che tutta la serie di icone ed etichette associate a questi manufatti non viene mai spiegata; inoltre, non è possibile sfilarseli (ad esempio per alleggerirsi quando non li si ritiene necessari) ma solo rimpiazzarli, e non viene indicato cosa è stato associato ai singoli indumenti neanche durante la fase di equipaggiamento, rendendo più difficoltosa la loro sostituzione.
L’orlo dell’oltremondo
Sin dall’inizio della nostra avventura, scopriamo che l’Abisso, che si estende principalmente in verticale, è diviso in diversi strati secondo fasce di profondità; in questo adattamento, così come nell’opera originale, man mano che si scende più in basso l’ambiente si fa più inospitale e le creature esponenzialmente più pericolose, similmente all’inferno dantesco. Nel videogame, ogni strato è reso in una serie di mappe circoscritte che rappresentano determinate aree dell’Abisso disposte a diverse altezze, ospitanti ognuna un habitat specifico e una precisa serie di specie viventi; una scoperta piacevole risulta il notare come sia stata posta molta attenzione affinché un gran numero dei luoghi presenti nell’opera originale risultino visitabili, aggiungendo anche quelli che venivano solamente citati.
Il passaggio da un’area all’altra avviene visivamente tramite portali, che corrispondono semplicemente a dei tratti di viaggio fuori campo; per questa ragione, il loro utilizzo richiede un costo in sazietà ed eventualmente anche in salute, e non può essere effettuato in mancanza di quei requisiti. Avanzando con il gioco, e utilizzando lo stesso sistema, si sblocca anche la possibilità del viaggio veloce tra gli strati, ma in entrambi i casi è un peccato constatare l’assenza di un qualunque tipo di animazione che rinforzi l’idea del tragitto effettuato.
Le zone da attraversare, però, sono spesso piene di asperità, punti sconnessi e zone raggiungibili solo scalando a mani nude o calandosi tramite corde, le quali sono essenziali – perlomeno nelle prime fasi del gioco – quanto relativamente facili da craftare. Nello spostarsi, dunque, bisogna fare attenzione, non solo a non finire in fallo o persino su qualche trappola, ma anche a muoversi verso l’alto, in quanto ciò comporterà l’attivarsi della cosiddetta “maledizione dell’Abisso”.
La maledizione è una delle caratteristiche più peculiari introdotte dal maestro Tsukushi nella sua opera e, per questo, elemento imprescindibile di questo adattamento. Per integrarla visivamente nel gameplay, gli sviluppatori hanno utilizzato due espedienti: una cornice viola attorno allo schermo e il colore del contatore dei metri, che si intensificano a mano a mano che gli effetti si fanno imminenti. L’unico modo possibile per evitarne le conseguenze è fare delle pause, evitando di salire ancora finché gli indicatori non tornano alla normalità; se ciò non accade, il personaggio finisce col subire malesseri fisici e mentali che si fanno esponenzialmente più violenti in base allo strato in cui ci si trova, compromettendo sia la sazietà che la salute.
Questo sistema è indubbiamente particolare, in quanto costringe il giocatore a doversi muovere con cautela e anche con pazienza, e la sua resa finale risulta alquanto convincente; considerando però che gli effetti si manifestano solo dopo aver percorso all’incirca 10 metri in salita, ci si rende conto che “l’allarme” sonoro tende ad attivarsi un po’ troppo presto, rinunciando così a parte della sua utilità e risultando fastidioso.
Un regno per creature ancestrali
In un ambiente del genere, incontaminato e antico, l’essere umano non è poi così tanto il benvenuto: tantissime creature si sono adeguate alle sue condizioni di vita particolari, popolandone ogni anfratto, e molte sono aggressive se non addirittura letali.
Nel mondo ricreato in questo adattamento, in linea di massima i nemici sono sempre visibili nell’ambiente di gioco e posseggono ognuno un’area di interazione entro cui attaccheranno, oltre che un pattern di azione piuttosto rigido; molti di loro però non notano il nostro personaggio se questi si muove accucciato, indipendentemente dalla sua copertura. Bisogna tuttavia specificare che per qualche ragione, qualunque tipo di azione proveremo a fare – che sia raccogliere, mangiare o altro – il personaggio scatterà in piedi, rendendosi immediatamente un bersaglio e annullando parte del senso della meccanica stealth del gioco.
Delle numerose creature che infestano gli strati, i nemici comuni, che ovviamente sono i più diffusi e numerosi, hanno l’odiosa particolarità di un respawn alquanto rapido e l’abilità di apparire letteralmente dal nulla, anche accanto al personaggio, in aree prima sgombre, impedendo spesso persino di completare un’azione come pescare, usare un oggetto o osservare con il monocolo. L’impressione è quella di voler impedire il più possibile di fornire al giocatore punti dove fermarsi e ristorarsi, o perlomeno di volerlo spingere all’utilizzo massiccio delle torce fumogene: probabilmente in questa prospettiva può avere un suo perché, ma resta una caratteristica estremamente snervante, soprattutto tenendo a mente la questione del peso trasportabile.
Di sicuro il gioco non è specializzato nei combattimenti, ma un grosso limite è indubbiamente quello di non avere uno slot dedicato alle armi: oltre al fastidio di ritrovarsi di tanto in tanto a mani nude e di dover riequipaggiare manualmente la nostra arma, può diventare addirittura un problema se, per esempio, veniamo circondati da una serie di nemici comuni, in quanto durante l’animazione del danno subito non si può aprire la ruota degli strumenti, privando il giocatore della possibilità di contrattaccare. Inoltre, nel caso in cui si voglia cambiare il proprio strumento di difesa durante un combattimento, pur ottimizzando la posizione dell’equipaggiamento sulla ruota, continua a risultare un’azione relativamente legnosa.
Una parentesi va infine aperta anche nei confronti dei boss, introdotti dalla trama, e dei mini-boss, che si ritrovano sparsi nelle mappe: spesso presentano un quick time event che solitamente serve a schivare un loro attacco e finirli, ma questo sistema non viene mai introdotto o annunciato nel gioco finché non ci si ritrova un nemico alle calcagna nei primi filmati, spiazzando il giocatore che non aveva alcun motivo di aspettarselo.
Zaino in spalla e piccone in mano
Esaminando il sistema di crafting, con esclusione della prima modalità di gioco Hello Abyss, quasi tutto ciò che si trova nei negozi è creabile autonomamente tramite la combinazione di determinati materiali, ritrovabili nell’Abisso, dando così l’opportunità al giocatore di scegliere se iniziare la discesa con l’equipaggiamento già fornito o costruirselo durante il viaggio. Alcune componenti si recuperano solo sconfiggendo e scuoiando creature, cosa per cui non è concesso temporeggiare in quanto i cadaveri anneriscono e, dopo una manciata di secondi – che potevano anche essere un po’ di più – semplicemente svaniscono. Altre ancora, come molte spezie, si ricavano invece da piante, visibili qua e là sul terreno; infine, alcune risorse si ottengono dall’estrazione con il piccone, in punti ben precisati da cumuli di roccia luccicanti che ospitano anche reliquie. Tutte queste attività, che risultano coerenti tra loro, garantiscono al giocatore una maggiore libertà di azione, riuscendo ad immergerlo senza sforzi nel ruolo dell’Esploratore.
Nella raccolta, però, c’è un fattore cui bisogna prestare estremamente attenzione, ed è il peso della borsa: ogni singolo vestiario, manufatto o componente, infatti, ha un proprio peso espresso in grammi che va ad incidere sulle capacità di trasporto del personaggio; una volta superato il valore massimo di portata, il personaggio non sarà più in grado di far nulla, se non spostarsi con esasperante lentezza e consumare cibo. Non tenere d’occhio il carico attuale mentre si cerca oggetti in scalata, per esempio, potrebbe facilmente risultare in una rovinosa e spesso fatale caduta; ovviamente, è permesso in ogni momento di scartare qualcosa dall’apposito menù.
D’altro canto, nel caso in cui non si voglia cedere a qualcosa per alleggerirsi, ci si può aiutare con alcuni oggetti che permettono di trasportare qualunque peso; il problema purtroppo è che la loro stessa funzione è messa in dubbio da una progettazione poco attenta, in quanto lascia perplessi sull’effettivo uso continuativo degli stessi. Un altro difetto rinvenibile in questo sistema è che il peso attuale della borsa è consultabile solamente dal menù oggetti, nonostante la sua criticità: si sarebbe potuto lasciare l’indicatore della capienza in una parte sgombra dello schermo, semplificando così la gestione del problema. Apprezzabile, ad ogni modo, la presenza del baule nella stanza del nostro protagonista, dove per esempio possiamo conservare e accatastare i materiali necessari per un crafting più oneroso, senza dover portare dietro peso extra.