Se dovessimo fare lo sforzo di pensare ad una classifica dei videogiochi più strani mai usciti, una buona parte apparterrebbe all’epoca tra il 2000 e il 2006: i primi 3D su larga scala portano le menti più folli ad ingegnarsi in ogni modo possibile, dando vita ad esperimenti folli come pochi se ne ricordano nella storia dei videogiochi. Tra questi, è difficile non citare Katamari Damacy, uscito su PS2 nel 2004.
La folle avventura del Principe del Cosmo ha affascinato per il suo bizzarro stile di gioco e le sue trovate artistiche che sprizzano un Murakamiano Giappone da tutti i pori. Negli ultimi anni, questa serie ha preso lo slancio con riproposizioni fedeli dei capitoli originali sulle più moderne piattaforme e, ora, la creatura Regname e Bandai Namco è tornata con un titolo originale nella sua stramberia, del quale vi proponiamo ora la recensione della versione per PS5: Once Upon a Katamari!
Tanto tempo fa, in un cosmo lontano…
Come da tradizione per la serie, la trama è estremamente semplice e fa sostanzialmente da pretesto per giustificare il passaggio da una sezione all’altra del mondo di gioco: siamo ancora una volta il Principe del Cosmo e, sotto ordine di nostro padre, l’affascinante e assai bizzarro Re del Cosmo, abbiamo il compito di viaggiare tra le epoche della storia dell’umanità per ritrovare le stelle dell’universo, frammenti di potere celeste andati perduti.
Il titolo non si snatura rispetto a quanto visto nelle precedenti trasposizioni: i personaggi emergono nella loro stramberia con pochi e semplici dialoghi che ci regalano momenti leggeri e divertenti senza mai in alcun modo risultare impegnativi da seguire. La storia principale del titolo occupa i giocatori per circa 8 ore, con picchi che superano la ventina nel caso in cui ci sia la volontà di completare col massimo del successo varie sfide.

Il caro vecchio (folle) Katamari
Per cosa viene ricordato Katamari? Non parliamo, in questa fase, del suo eccentrico stile, ma del suo altrettanto bizzarro e originale gameplay. Il “gioco senza tasti” si contraddistingue tutt’oggi per un sistema di controllo insolito e molto legato all’universo arcade, richiedendo al giocatore di sfruttare bene i mezzi a sua disposizione per compiere azioni semplici che corrono più che mai il rischio di farsi complesse.
In Once Upon a Katamari, il giocatore inizia la sua partita scegliendo se fare affidamento ad un sistema di controlli più vicino alle esigenze moderne o se cimentarsi nell’esperienza tradizionale: questa seconda scelta è certamente la più azzeccata per comprendere il contenuto, l’originalità e i meriti di Katamari fino in fondo, elementi che si vanno a perdere con un sistema di controllo più “freddamente” moderno.
Giocare Katamari con il suo classico stile di gioco permette di apprezzare maggiormente i livelli, che si strutturano in piccole arene con ambientazioni variegate ed elementi scenici poligonali, semplici e coloratissimi, che contribuiscono a generare quell’aura di bizzarro che contraddistingue la serie. La struttura è tipicamente arcade, con missioni di raccolta degli oggetti a tempo, che funziona non sempre ottimamente: sappiamo bene che fa parte dell’esperienza “incastrarsi” con la nostra palla magica, ma accade troppe volte, nel corso dell’avventura per non varcare il confine tra stimolante nella sfida e frustrante.
Nella sua semplicità, non sarà comunque facile completare Once Upon a Katamari senza incappare in qualche partita a vuoto o qualche conclusione dei giri del timer anzitempo. Mettersi sotto con la raccolta e studiare il percorso migliore richiederà quindi un po’ di uno o due tentativi per livello, aumentando in maniera netta il monte di ore standard richieste al giocatore più completista.

L’arte vuole la sua parte
Soffermandoci sull’iconico stile di Katamari, molti giocatori si potrebbero chiedere se questo approccio, nel 2025, possa ancora funzionare come in passato. La risposta a nostro parere è: assolutamente sì. Il titolo brilla di una bislacca e bambinesca luce propria che riesce a mantenersi fedele al passato senza però essere fuori dal mondo attuale.
Luci, colori, suoni (e colonna sonora): tutto funziona perfettamente nel creare un “cosmo” di gioco vivido e stimolante visivamente, una coccola per chi ha amato i precedenti lavori della serie e una bella sorpresa per chi, invece, si affaccia alla serie per la prima volta. Once Upon a Katamari sfrutta, su PS5, la vibrazione del DualSense in modo pulito ed efficace, e presenta una buona libreria di trofei che metterà alla prova i giocatori più pazienti: ottenere il Platino non sarà una passeggiata, ma una vera e propria corsa contro il tempo e… una palla da far rotolare!