Flint: Treasure of Oblivion si presenta come un titolo ambizioso nel panorama dei CRPG, cercando di coniugare l’universo avventuroso della pirateria con meccaniche di gioco strategiche e narrative: attraverso l’esplorazione, combattimenti tattici e una grafica ispirata ai fumetti, il gioco punta a distinguersi in un genere già popolato da titoli di grande successo come Baldur’s Gate 3, da cui prende piena ispirazione.
Tuttavia, dietro a un’estetica accattivante e alcune idee intriganti, si nasconde un prodotto che fatica a soddisfare le aspettative. Problemi di design, un gameplay macchinoso e una narrazione poco avvincente impediscono a Flint di emergere come un’esperienza memorabile, lasciando un retrogusto amaro a chi decide di imbarcarsi in questa avventura.
Una ciurma per il Capitano Flint
La trama principale segue le vicende di James Flint, un pirata alla ricerca del misterioso Tesoro dell’Oblio: sebbene l’idea di fondo sia intrigante e il protagonista venga presentato con un certo carisma, lo sviluppo narrativo è spesso piatto e privo di mordente. La narrazione si muove attraverso missioni frammentate, con obiettivi poco chiari che lasciano il giocatore a interrogarsi su cosa fare o dove andare. Questo problema è aggravato dall’assenza di un sistema di mappa o di un diario strutturato, che renda più semplice tenere traccia dei progressi o recuperare informazioni dopo una pausa di gioco.
Le cutscene in stile fumetto sono visivamente belle, ma non riescono a compensare una sceneggiatura poco incisiva e priva di colpi di scena reali. I personaggi secondari, pur dotati di ritratti dettagliati e suggestivi, mancano di profondità e si riducono spesso a semplici figure di contorno. L’impatto emotivo degli eventi è limitato, e il gioco non riesce a creare quella connessione che spinge il giocatore a interessarsi davvero al destino dei protagonisti.
A bordo della nave
Il cuore di Flint: Treasure of Oblivion risiede nel suo gameplay, che combina esplorazione e combattimenti a turni. Tuttavia, sebbene il sistema presenti alcune buone idee, la loro implementazione lascia molto a desiderare: una delle prime difficoltà che il giocatore incontra è la navigazione ad esempio. L’assenza di una mappa o di un mini-mappa costringe a esplorare alla cieca, il che può risultare frustrante – seppur realistico – soprattutto in ambienti complessi, o dopo aver interrotto la partita per un certo periodo di tempo. Inoltre, il fatto di non poter interagire nuovamente con i personaggi non giocanti dopo averli già interrogati è un limite che penalizza chi potrebbe aver dimenticato le indicazioni ricevute.
I combattimenti, che dovrebbero rappresentare il punto di forza del gioco, soffrono di una curva di apprendimento poco equilibrata. Il sistema di punti azione (AP), che regola ogni movimento o attacco, è interessante sulla carta, ma risulta poco intuitivo nelle prime ore di gioco. Inoltre, l’interfaccia utente è confusa e sovraccarica, rendendo difficile interpretare rapidamente le informazioni necessarie per prendere decisioni strategiche. L’uso del controller è un pianto tanto quanto la tastiera e mouse, sistema che va completamente rivisto.
Un altro aspetto problematico è la gestione dei personaggi durante le battaglie. Il fatto che i membri del gruppo eliminati in combattimento siano persi definitivamente, a meno che non si ricarichi un salvataggio precedente, aggiunge un livello di difficoltà che può facilmente scoraggiare i giocatori meno esperti. Sebbene questa scelta possa sembrare coerente con l’idea di realismo e sfida, nella pratica diventa un elemento frustrante che spesso obbliga a ripetere lunghe sequenze di gioco.
Se c’è un elemento che merita davvero un elogio, è la direzione artistica di Flint: Treasure of Oblivion. La grafica semi-cell-shaded, combinata con cutscene in stile fumetto, crea un’atmosfera unica e visivamente piacevole. Ogni personaggio è dotato di un ritratto dettagliato e stilisticamente coerente con l’ambientazione storica, contribuendo a un’immersione visiva efficace. Anche gli oggetti più banali, come fasciature o equipaggiamenti, sono rappresentati con una cura a dir poco gradevole.
Naufragio con scialuppa
Flint: Treasure of Oblivion è un gioco che ambisce a offrire un’esperienza unica nel panorama dei CRPG, ma fallisce miseramente, senza possibilità di giungere alla “terra promessa”. Nonostante l’ottima direzione artistica e alcune buone idee di base, il prodotto finale risulta carente sotto molti punti di vista: la narrazione è debole, il gameplay è macchinoso e frustrante, e l’assenza di elementi chiave come una mappa rende l’esplorazione più un peso che un piacere.
Nonostante la qualità artistica, la bellezza estetica non basta a mascherare i difetti strutturali del gioco. La sensazione è quella di trovarsi di fronte a un prodotto che punta più sull’impatto visivo che sulla solidità del gameplay e della narrazione. La scialuppa di salvataggio del gioco è la piattaforma PC che riesce, seppur con molta fatica, a rendere l’esperienza di gioco leggermente meno disastrosa.
Per la maggior parte dei giocatori, Flint: Treasure of Oblivion rappresenterà un’opportunità mancata, un titolo che avrebbe potuto essere molto di più con una maggiore attenzione ai dettagli e una progettazione più solida.