Outcast Second Contact – Recensione

Patrizio Coccia
Di Patrizio Coccia Recensioni Lettura da 8 minuti
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Outcast Second Contact

Purtroppo in pochi ricordano Outcast, action-adventure rilasciato nel 1999. Per i tempi che correvano il titolo fu davvero rivoluzionario, poiché proponeva un vasto mondo da esplorare, piena libertà al giocatore e un proprio ecosistema pulsante. Sfortunatamente l’utenza non era ancora pronta a questo genere di prodotti, dunque il titolo non ebbe un grande successo. Poiché questo titolo viene ricordato, anche se da pochi, in maniera molto positiva, il team Appeal, supportato da un grande publisher come Big Ben Interactive, ha deciso di ridare nuova linfa al suo videogame, riproponendolo ora e sperando che i giocatori siano in grado di accettarlo. Nonostante l’opera sia ancora valida, ci scontriamo inevitabilmente con il peso degli anni, dunque alcune lacune grafiche e ludiche fanno notare fin troppo bene che il tempo passa inevitabilmente per tutti.

Un mondo da salvare

La trama del videogame non è assolutamente cambiata. Chiunque ci abbia già giocato nel lontano 1999 ritroverà nuovamente il mitico Cutter Slade, pronto ad affrontare questa stramba avventura e tutti i pericoli che essa comporta. La storia di base è questa: uno scienziato non meglio specificato ha aperto uno squarcio verso un mondo parallelo, mettendo così in pericolo la Terra. Ovviamente toccherà a Slade risolvere il problema ma, arrivato nell’altro mondo, le cose non andranno esattamente come previsto. Il giovane protagonista verrà infatti accolto dagli abitanti del pianeta come un Ulukai, ovvero un prescelto che salverà il mondo di Adelpha con tutti i suoi abitanti, ovvero i Talan, da un essere diabolico. Il gioco dunque a livello di trama non si sbilancia poi molto, riuscendo a dividersi molto bene tra momenti tragici e altri ricchi di umorismo.

Purtroppo il racconto è frammentato da lunghe sezioni di dialoghi e proprio per questo approfondire determinati aspetti vi richiederà pazienza e parecchio tempo; pertanto non stupitevi se specialmente nelle prime ore di gioco passerete il vostro tempo più a parlare che a giocare veramente. La vastità del mondo vi causerà un minimo di spaesamento, ma pian piano inizierete a collegare i pezzi e farete mente locale sulle faccende che si stanno diramando.

Le armi non bastano mai

Dopo un inizio molto rigido, il gioco vi porterà in una specie di open world diviso in vari settori, collegati tra di loro da diversi portali, dove vi potrete muovere in completa autonomia. Nonostante sarete spiazzati, man mano capirete che muovervi tra le lande di Outcast sarà più facile del previsto. Purtroppo però in questo meccanismo c’è un problema di fondo molto grave con cui, inevitabilmente, l’utente si dovrà scontrare: sulla mappa non ci sono icone o suggerimenti su quali percorsi intraprendere, e le indicazioni dei personaggi spesso sono molto vaghe. Seguire uno dei punti cardinali sarà molto più difficile del previsto, anche a causa di una poca cura nei dettagli. Dunque ve la dovrete cavare da soli e spesso gli NPC su cui farete affidamento per qualche indicazione più precisa non saranno affatto d’aiuto. Per avere qualche particolare in più sulla trama dovrete necessariamente parlare con gli altri personaggi, richiedendovi ulteriore tempo per una paziente ricerca.

Outcast dunque resta fedele alle sue origini, ma sinceramente con i tempi che corrono non modernizzare alcuni aspetti è davvero un suicidio. Andare avanti a spada tratta sulla storia non vi porterà a nulla, perciò dovrete necessariamente svolgere compiti secondari per poter forgiare armi, proiettili e tanto altro. L’equipaggiamento, seppur scontato dirlo, sarà il vero ago della bilancia che determinerà se sarete in grado di salvare Adelpha oppure no. Sebbene tutte queste cose tengano fede a com’era il prodotto in passato, è innegabile il fatto che fasi esplorative, dialoghi e combattimenti, se paragonati agli attuali giochi, mostrano delle lacune non indifferenti. Il restare troppo ancorati al passato da punto di forza è diventato un difetto, dimostrazione del fatto che anche le più grandi idee dei tempi andati non sono attuabili agli standard moderni, così come nella vita reale anche nei videogiochi questo concetto si ripropone.

La nuova veste non basta

Ebbene siamo arrivati alla parte più dolente della produzione poiché i problemi tecnici ricadono, inevitabilmente, anche sul gameplay. Il controllo sul protagonista non è per niente fluido, Cutter Slade dovrebbe essere agile e veloce, invece risulta impacciato e fin troppo lento nei movimenti. Anche piccoli dossi diventano montagne insormontabili da scalare costringendo così il giocatore a trovare soluzioni alternative non sempre belle dal punto di vista estetico. Tutti questi problemi vengono alimentati da una pessima gestione della telecamera e della visuale. Quando entrerete in qualsiasi edificio noterete con i vostri occhi che l’inquadratura si sposta fin troppo dietro alle spalle del protagonista, rendendo complesso l’orientamento.

Il gioco, oltre al classico combattimento con armi da fuoco tipico degli sparatutto in terza persona, fa forza su delle meccaniche stealth francamente inguardabili, mettendo ancora più in risalto i difetti dell’opera. Le sparatorie sono realmente difficili da gestire, e colpire il bersaglio sarà un’impresa davvero ardua. Nonostante le numerose complicazioni sconfiggere i Talan corrotti non sarà poi così complicato, questo per via di un’intelligenza artificiale scadente e a pattern d’attacco prevedibili. Anche il sistema di autosalvataggio è stato calibrato male e spesso memorizzerà i dati di gioco in mezzo a una battaglia in una situazione di completo svantaggio.

Bisogna ammettere che Outcast non è invecchiato bene, anzi, l’aver modernizzato solo in parte il gioco lo rende ancora meno fruibile. Il gioco resta sicuramente un bell’esperimento, ma è fin troppo palese che il team di sviluppo non ha voluto rischiare. Il titolo resta un prodotto interessante, senza infamia e senza lode, cosa davvero incomprensibile dato il mostruoso potenziale di partenza. Un ritocco completo avrebbe sicuramente aiutato e, se così fosse stato, probabilmente staremmo stendendo le lodi di Outcast invece che parlare di rimpianti e occasioni perse. Di Outcast rimarrà proprio questo: un’opportunità mal sfruttata che aleggerà nuovamente nel dimenticatoio come nel 1999. Peccato, perché il prodotto di base ha qualità da vendere e un appassionato del genere avrebbe potuto dargli una reale opportunità.

Outcast Second Contact
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Voto 6
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Patrizio non era ancora nato quando entrarono in casa la Super Nintendo e Super Mario Bros. Pochissimi anni dopo, insieme a lui, arrivò anche la Play Station, e fu tutta un'altra storia. Aveva 4 anni quando a malapena riusciva a tenere il controller tra le mani, ma non mollò più la presa, imparando a giocare a tutti i generi. Appassionato di musica rap, film fantasy, e con un passato da writer, predilige indiscutibilmente i giochi di ruolo, fortemente affezionato alla serie di Kingdom Hearts di cui conserva l'intera collezione, spin-off inclusi.