Diablo 2: dal gioco alla leggenda fino alla sua resurrezione

Dopo l'annuncio di Diablo 2 Resurrected, ripercorriamo la strada di un mito dei videogiochi con questo speciale direttamente da Sanctuarium.

Tiziano Sbrozzi
Di Tiziano Sbrozzi - Senior Editor Analisi Lettura da 10 minuti

Quando siamo in macchina utilizziamo dei segnali per capire in che punto della strada ci troviamo, dove ci porterà il nostro percorso e da dove siamo partiti. Qualcuno ha deciso come e dove inserire i segnali che necessari per orientarci, basandosi su studi e convenzioni internazionali di altissimo livello; immaginate ora un mondo dove non esistono strade definite ma dove tutti – ed intendiamo proprio tutti – sanno esattamente dove stanno andando, da dove vengono e possono indicare a memoria le svolte, le salite e le discese. Provate a pensare poi che quel mondo non ha strade fisiche ma vive nella memoria e nei pensieri di persone che non si sono mai viste tra di loro. Ecco, dopo tutto questo avrete in mente un frammento di quello che è il panorama videoludico mondiale, costellato di successi ed insuccessi più o meno noti. Quello che ha quasi del magico può riassumersi nel modo in cui tutte quelle persone – che lo ripetiamo, non si conoscono, probabilmente non parlano nemmeno la stessa lingua e non  hanno nemmeno la stessa età – riescano a mettere quei segnali, quelle “pietre miliari”, allo stesso posto; Diablo 2 è una di quelle pietre miliari, un’opera solida ed imprescindibile che ha segnato una strada, una via verso qualcosa d’inesplorato ma che tutti aspettavano. Come abbia fatto Blizzard a creare un titolo che ancora oggi, dopo oltre vent’anni, si guarda con rispetto e timore reverenziale è presto detto: ha rischiato, ha deciso di porre l’asticella più in alto, conscia del fatto che avrebbe potuto cadere rovinosamente a terra. L’Oscuro Viandante sta per tornare in Diablo 2 Resurrected.

Viandante e Narratore

Nel primo capitolo di Diablo, il nostro eroe affronta il malefico demone e lo sconfigge scendendo in profondità verso gli inferi, una discesa che cita indubbiamente l’epopea di Dante nei domini di Lucifero. Una volta sconfitto il male assoluto, il protagonista della storia imprigiona l’anima di Diablo nella Pietra dell’Anima e per evitare che venga mai ritrovata la inserisce nel proprio corpo, convinto di poterla custodire. Sfortunatamente, come Frodo ben sa, il male ti corrompe lentamente e infatti, come accadde al piccolo Hobbit della Contea traviato dall’Anello del Potere, il protagonista del gioco viene soggiogato da Diablo che in veste dell’Oscuro Viandante inizia un viaggio per riprendere appieno i propri poteri, il tutto portandosi dietro un uomo chiamato Inarius, voce narrante di Diablo 2. Il giocatore dovrà dunque inseguire i due viaggiatori e per farlo gli basterà procedere in diverse regioni del mondo di Sanctuarium. Nel corso dell’avventura, l’utente di turno si sarebbe quindi ritrovato a vestire i panni di un eroe a sua scelta tra Barbaro, Incantatrice, Amazzone, Paladino e Negromante (si, in Diablo 2 non era possibile cambiare il sesso di appartenenza dei protagonisti, erano senza nome ma il genere rimanevano sempre gli stessi) per compiere il suo destino accanto a Deckard Cain, storico di Sanctuarium e guida spirituale del protagonista (un personaggio che ricorda molto Gandalf de Il Signore Degli Anelli).

Costruzione di un mito

Com’è possibile che un titolo con una trama tanto banale accompagnata da uno stile di gioco action e non puramente RPG abbia fatto tanto scalpore? Ebbene, la risposta è nei dettagli (come il diavolo!), Diablo 2 si propose come il miglior prodotto della sua epoca in termini estetici… e non solo. Il protagonista veniva introdotto ad un sistema dell’inventario che lo costringeva a scegliere cosa portare con sé e cosa lasciare a terra, fisicamente. Era un titolo “hardcore” nel senso che una volta scelte determinate abilità poste in un albero ben delineato, queste non potevano essere cambiate (cosa che nell’epoca moderna è certamente in disuso al punto che, obiettivamente, in Diablo 3 il nostro barbaro può cambiare ruolo in ogni momento, passando da tank a danno melee fino al supporto puro). Ad esempio, se sceglievamo d’interpretare un’incantatrice dedita alla magia del ghiaccio, era improbabile che al livello venti avremmo scelto “muro di fuoco” come abilità; questo comportava una certa lungimiranza in termini di gameplay, oltre che un ruolo ben definito in un team da quattro giocatori, altra innovazione per l’epoca, un party condiviso da quattro membri capaci di cooperare e di esplorare assieme il mondo di gioco circostante. Certo, online era un bel “far west”, nel senso che non erano presenti loot pre-definiti e, di base, chi per primo cliccava sull’oggetto, per primo lo otteneva.

Ma parliamo ora di un altro elemento importante della creatura Blizzard, la morte: gioia e dolore di ogni videogiocatore. Ebbene, in Diablo 2 la morte oltre che una tremenda perdita di tempo rappresentava un vero e proprio danno “economico” in quanto la Morte si prendeva la metà del proprio tesoro, facendoci tra l’altro perdere tutto l’equipaggiamento, a meno che il giocatore non fosse tornato al proprio cadavere e avesse recuperato il bottino perduto. Se il giocatore fosse morto prima di raggiungere il proprio corpo privo di vita, si sarebbe ritrovato con la brutale perdita di tutto l’equipaggiamento. Ogni caratteristica ludica della produzione venne poi ampliata grazie all’avvento del DLC (che all’epoca veniva chiamata Espansione) Lords of Destruction, il quale inseriva diverse novità in-game: due nuove classi, nuove aree esplorabili e diverse nuove modalità come la Hellfire Quest che permetteva al protagonista di giungere in un area in cui erano presenti gli stessi boss del passato, Diablo e i suoi fratelli in versione “uber”, ovvero drasticamente potenziati ma al contempo fornitori d’oggetti tremendamente potenti, una volta sconfitti. Non bisogna poi dimenticarsi di come il titolo fosse pieno di segreti ed easter-egg; uno fra tutti era il livello delle Mucche, apribile tramite l’utilizzo del Cubo Horadrim in accoppiata con altri oggetti inseriti al suo interno (questa chicca divenne una vera leggenda tra i giocatori, con molti che dubitavano della sua stessa esistenza: ricordate che Internet non era così popolato di informazioni come oggi e molti dettagli e curiosità giungevano al grande pubblico solo tramite la carta stampata in edicola).

La Rinascita

Come si può pensare che un titolo così ben creato e strutturato possa essere migliorato? Serve davvero una rinascita di Diablo 2? In realtà, migliorarlo è presto detto: con le conoscenze che Blizzard ha acquisito nel corso degli ultimi vent’anni, complice anche gli esperimenti fatti con Diablo 3, ci aspettiamo un miglioramento netto in termini di punteggio delle caratteristiche e uno snellimento del gioco sotto il profilo ludico, magari in relazione ai tomi dell’identificazione o ai Portali per il viaggio in città. Piccolo accenno anche al miglioramento estetico che è d’obbligo e logico data la potenza dei PC e delle console moderne; dopotutto non dobbiamo dimenticare che il titolo sarà cross-platform e potrà essere giocato ovunque.

Sì, serve una rinascita perché al pari del mondo del cinema che ad oggi sembra vivere di remake e reboot, un titolo come Diablo 2 Resurrected serve al pubblico più giovane per comprendere quelle che furono le “origini” di questo grande media e serve agli adulti per tornare ragazzi ancora una volta: tenete presente che spesso si usava portare quattro PC in una stanza e giocare a Diablo 2 non online ma in locale, oggi suona quasi distopico ma nel 2001/2002 in Italia accadeva che per un intero week end ci si ritrovava a dormire sui divani del fortunato amico di turno che aveva abbastanza spazio per ospitare tutti e giocare dalle dieci alle quindici ore filate. Tornare a Tristram e Lut Gholein sarà un esperienza mistica per chi l’ha vissuta in passato (come il sottoscritto) mentre farlo oggi per i nuovi giocatori sarà una scoperta davvero unica. 

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Senior Editor
Lusso, stile e visione: gli elementi che servono per creare una versione esterna di se. Tiziano crede fortemente che l'abito faccia il monaco, che la persona si definisca non solo dalle azioni ma dalle scelte che compie. Saper scegliere è un'arte fine che va coltivata.