Ormai siamo giunti al terzo titolo della particolare antologia di Square Enix totalmente creata con delle carte, Voice of Cards. Si tratta di una serie di videogiochi GDR ideata dall’eccentrico – in senso buono – Yoko Taro che vede di volta in volta il giocatore vivere una storia diversa, e con alcune caratteristiche che gioco dopo gioco cambiano o vengono aggiunte. Con il primo titolo, Voice of Cards: The Isle Dragon Roars, si è partiti da una struttura molto basic, quasi un esperimento che ha puntato su alcuni punti saldi del fantasy e dei giochi di ruolo a turni, mentre con il secondo titolo, Voice of Cards: The Forsaken Maiden sono state fatte alcune modifiche interessanti, come gli attacchi in coppia e le fasi a 4 membri del party invece di 3. Arriviamo quindi al gioco che analizziamo oggi in recensione, Voice of Cards: The Beasts of Burden, che rispetto alla struttura base si rivela un po’ più randomico e inserisce una meccanica di cattura mostri per utilizzarli in battaglia.
Scoprire la luce
La storia di questa nuova avventura parte in un villaggio nascosto nell’oscurità del sottosuolo, dove non più di una manciata di persone vivono in povertà, ma sostenendosi l’un l’altra. La protagonista è un’abile combattente, e ha il compito di proteggere il villaggio – insieme agli altri abitanti e alle trappole poste nelle gallerie – dagli attacchi dei mostri che minacciano periodicamente la loro tranquillità. Tuttavia un giorno, un furioso attacco dei mostri, che sembrano molto più organizzati del solito, riesce a fare breccia nel villaggio, con tutti gli abitanti che perdono la vita, se non la nostra protagonista, salvata in extremis da un misterioso ragazzo. Fuggiti insieme dal crollo della caverna, la ragazza si trova per la prima volta in vita sua faccia a faccia col mondo esterno, in un’immensa area desertica, e poco dopo si rende conto del sentimento che da ora in poi la spingerà ad andare avanti: la vendetta. Ma cosa succederà una volta che l’avrà raggiunta? Chiaramente eviteremo di continuare nel racconto, per farvelo scoprire da soli.
Domali tutti!
Al di là della questione narrativa, che come sappiamo differisce in ogni capitolo di Voice of Cards, la peculiarità di The Beasts of Burden sta nella possibilità (per non dire che saremo costretti a farlo) di intrappolare i mostri che incontreremo in un mazzo di carte , per poi utilizzarli come abilità in combattimento. Ci spieghiamo meglio: a volte dopo lo scontro con alcuni mostri, potremo trovare il solito oggetto a scelta tra tre carte coperte, e tra questi può nascondersi proprio la carta di uno dei mostri che abbiamo sconfitto.
Queste carte hanno anche un livello di efficacia in stelle, e più sarà alto, più il mostro catturato vedrò il suo effetto migliorare. Nel mazzo di carte della protagonista potremo avere un solo mostro per tipo, quindi i doppioni e quelli meno potenti verranno automaticamente scartati. Il potere di intrappolarli appartiene a noi, ma potremo far equipaggiare queste carte anche ai nostri compagni di party, permettendo loro di usare il loro potere. Questa meccanica è di per sé molto interessante, perché al di là delle statistiche base dei personaggi, potremo in un certo senso decidere che ruolo far intraprendere ai nostri compagni.
Le carte mostro non infliggeranno solo danni, alcune ad esempio ci daranno protezione, altre aumenteranno temporaneamente le nostre statistiche, insomma, è come se fossero delle abilità universali che possiamo passare di personaggio in personaggio. Oltre a questa meccanica, tutto rimane invariato, dalle gemme per effettuare le abilità più forti, ai vari equipaggiamenti da trovare o comprare e così via. L’unica differenza possiamo trovarla nelle varie città, dove è stato aggiunto un apposito shop dove poter comprare delle carte mostro da utilizzare.
Voice of Cards: The Beasts of Burden però, nonostante possa sembrare che questa meccanica inserisca un po’ di brio nel gioco, si rivela fino ad ora il capitolo più spento dei tre usciti, con una narrazione che riesce a far perdere gran parte dell’interesse nelle prime battute, e con una randomicità più elevata rispetto agli altri titoli: i dadi hanno sempre avuto una loro valenza all’interno dei combattimenti, ma in The Beasts of Burden diventano quasi dominanti.
Nulla da dire sull’aspetto artistico e sulla colonna sonora, sempre ad altissimi livelli nel pieno stile della serie. Come al solito sono stati sostituiti alcuni mostri con altre creature più particolari e/o adatte allo specifico mondo di gioco, cosa che di certo aiuta a variegare l’esperienza rispetto ai predecessori.
Per questa specifica recensione, contrariamente a quanto fatto con i due titoli precedenti, abbiamo testato il gioco su Nintendo Switch per saggiarne la portatilità: al di là di un caricamento iniziale abbastanza lento, possiamo definirci più che soddisfatti i come il gioco gira sull’ibrida nipponica, con una citazione di gradimento particolare verso l’adattamento, che comprende i sacrosanti comandi tattili col touch screen. Non la primissima scelta a livello tecnico, ma di sicuro la più comoda.
Tirando le somme in ogni caso ci troviamo di fronte ad un gioco più che gradevole, che cerca di portare qualcosa di ancora diverso nel mondo di carte di Yoko Taro, ma che date le potenzialità della meccanica ideata avrebbe potuto dire la sua in modo molto più marcato.