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Tramonto – Recensione del secondo film di Laszlo Nemes

Dopo uno dei migliori esordi degli ultimi anni con Il Figlio di Saul (Premio della giuria a Cannes e Oscar come miglior film straniero), Laszlo Nemes torna a raccontare la storia della sua patria, l’Ungheria, in Tramonto (Napaszàllta). Si tratta di un dramma in costume sulla fine dell’Ottocento e sul sogno infranto della Belle époque, il suicidio tutt’ora inspiegabile di un’Europa all’apice della propria magnificenza che porterà alla Grande Guerra, girato in una semi-soggettiva marchio di fabbrica del regista.

Tramonto è un film che parla della civiltà giunta a un bivio. Nel cuore dell’Europa al culmine del progresso e della tecnologia, senza che sia mai stata scritta nella storia, la vicenda personale di una giovane donna diventa il riflesso di un processo che rappresenta la nascita del XX secolo.” Laszlo Nemes.

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Fine del XIX secolo a ridosso della Prima Guerra Mondiale. La giovane Irisz Leiter (Juli Jakab) arriva a Budapest, cuore dell’Europa al massimo del progresso e del fasto imperiale, con la speranza di venire assunta come modista nella Cappelleria Leiter, la più prestigiosa della capitale ungherese fondata dai suoi defunti genitori, ora in mano allo scaltro Oskar Brill (Vlad Ivanov). In attesa di venire assunta dal nuovo proprietario, Irisz incontrerà un misterioso uomo alla ricerca di Kalmàn Leiter, fratello di lei mai conosciuto e criminale in fuga a seguito dell’orrendo delitto di un nobile. Decisa a incontrare l’unico membro rimasto della sua famiglia, la ricerca la condurrà a scoprire una oscena verità e l’oscuro segreto della cappelleria. Intanto, alla vigilia di una visita imperiale si avvicina la fine di un secolo e il declino irreversibile di un mondo.

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Ci si aspettava tantissimo da Laszlo Nemes, dopo un esordio tanto folgorante da rendere nuovamente popolare la cinematografia sull’Olocausto (è imbarazzante dirlo, ma è così), attraverso una fotografia estetica ed etica, soggettiva e meta-narrativa atta a evidenziare la rinuncia di spettacolarizzazione dell’orrore e la morte nei campi di concentramento. Ma all’ultima Mostra del Cinema di Venezia il parere unanime su questo secondo film di un regista tanto promettente è che si tratti di un pericoloso passo falso, tanto da destare molte perplessità, nonostante il film abbia vinto all’ultima edizione del Festival di Venezia il prestigioso Premio FIPRESCI.

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La macchina da presa usata come ne Il Figlio di Saul risulta poco adatta a una storia che, dati i fenomenali valori di produzione (tra costumi incantevoli, scenografie attente e un formidabile trucco e parrucco), avrebbe giovato a far respirare allo spettatore un ambiente tanto ben costruito, sacrificando quegli inseguimenti ossessivi della protagonista (interpretata con ottima profondità dalla semi esordiente Juli Jakab) da parte della macchina da presa che finiscono per stufare presto. Una scelta che pare presuntuosa, a tratti persino suicida, dal momento che sembrerebbe dire che Nemes e il suo “cinema della soggettività” abbiano poco più da offrire al di là delle invenzioni del suo primo film. La storia inutilmente complicata, allungata senza ragione soprattutto a partire dalla seconda metà del film, non aiuta certo a considerare Tramonto più che un esercizio di stile che avrebbe giovato, tra le tante mancanze, di un numero minore di situazioni reiterate che impediscono a una premessa sicuramente avvincente e interessante di decollare.

Tramonto

6.5

Il secondo film del regista di Il Figlio di Saul è un passo falso nella carriera di un regista tanto promettente, deludente ma piacevole allo sguardo, senza però riuscire mai a staccarsi dall'essere un esercizio di stile.

Pierfranco Allegri
Pierfranco nasce a Chiavari il 1 Aprile 1994. Si diploma presso il liceo Classico Federico Delpino e studia Cinema e Sceneggiatura presso la Scuola Holden di Torino. Al momento scrive recensioni online (attività cominciata nel 2015) presso varie riviste tra cui GameLegnds e Cinefusi.it

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