Quando nel 2022 The Sandman esordì su Netflix, molti si chiesero se un’opera così intimamente legata al linguaggio del fumetto potesse sopravvivere sullo schermo senza perdere la sua anima fatta di silenzi, testi poetici e immaginazione sconfinata. La risposta fu un sì quasi unanime: la prima stagione dimostrò che si poteva restare fedeli a Neil Gaiman pur adottando l’estetica, i tempi e gli strumenti del mezzo televisivo. Con la seconda stagione – che sarà anche l’ultima – la sfida cambia: non si tratta più di convincere, ma di chiudere il cerchio. La Parte 1 di questo secondo arco si presenta con sei episodi (dall’11 al 16, lo speciale sui gatti continua a non rientrare nella numerazione) che rimettono in moto la macrotrama e preparano il terreno al gran finale. L’obiettivo dichiarato è duplice: approfondire il viaggio personale di Sogno e, al tempo stesso, accelerare il passo per arrivare alla conclusione senza indugi.
Struttura narrativa: sei tappe e una sola direzione
Come da tradizione, i titoli degli episodi coincidono con quelli dei capitoli del fumetto, e di fatto ne ripropongono gli eventi senza deviazioni sostanziali. I primi due episodi funzionano come un dittico compatto: un’unica storia di ricerca che si apre e si chiude nel giro di circa 100 minuti complessivi, ricalcando in modo pedissequo la complessità della controparte cartacea. Qui la serie fa ciò che le riesce meglio: trasportare in immagini la carica simbolica del fumetto, usando la CGI non come puro sfoggio ma come proiezione visiva dell’immaginazione dei personaggi. Nella seconda metà del blocco la struttura cambia leggermente: gli episodi 13, 14 e 15 compongono un arco che torna sul tema del viaggio, ma con implicazioni più vaste e, soprattutto, con l’evidente scopo di incanalare le linee narrative verso l’ultimo tratto. Il sedicesimo capitolo, infine, è un vero e proprio ponte che chiude la frazione e spalanca la porta agli eventi conclusivi.
La scelta di presentare tutto in un unico flusso coeso influisce sul ritmo: se nella prima stagione abbondavano gli episodi quasi autoconclusivi, punteggiati da storie brevi capaci di fermare il tempo e far respirare lo spettatore, qui si avverte una continua accelerazione. È una strategia deliberata, che mira a trasmettere urgenza: ogni scena deve spingere Sogno un passo più vicino alla meta, ogni dialogo deve far avanzare il tema centrale del suo rapporto con gli altri Eterni. Il risultato è un montaggio più nervoso, ma non confuso: gli autori riescono a far convivere la densità della materia narrativa con la chiarezza espositiva, affidandosi a transizioni visive che legano luoghi e concetti con una coerenza quasi musicale.
Toni e atmosfere: pathos, silenzi e panorami
Uno dei marchi di fabbrica della serie è la cura maniacale per i silenzi e per la fotografia. Anche questa volta il suono viene usato con parsimonia, consentendo alle pause di amplificare la tensione emotiva. Gli spazi vuoti parlano quanto, se non più, dei dialoghi: una scelta coraggiosa, che non teme l’attenzione calante dello spettatore e anzi lo invita a riempire i vuoti con la propria immaginazione. Sul piano visivo le sequenze in CGI raggiungono nuovi picchi di raffinatezza. Dalle distese oniriche bianche attraversate da un’eco di passi, alle visioni cosmiche che accompagnano gli incontri fra Eterni, ogni ambientazione sembra scolpita in funzione dell’emozione da trasmettere. Il confine fra set reale e digitale è sempre più sottile, ma mai invasivo: non si ha mai la sensazione di trovarsi in un videogioco, grazie a una palette cromatica che dosa accuratamente contrasti e saturazioni.
Allo stesso tempo, la serie non rinuncia alla componente umana: le espressioni di Sogno, la fragilità che trapela dal suo sguardo quando la maschera di sovrano cade per un istante, sono rese con piccoli movimenti di camera e micro-espressioni. In questo contesto, la scelta di mantenere un tono recitativo misurato, privo di eccessi melodrammatici, si rivela vincente; l’atmosfera resta tesa ma mai caricaturale, coerente con la poetica originale di Gaiman.
Interpretazioni e doppiaggio: la voce come strumento narrativo
Il doppiaggio italiano era stato indicato fin dall’inizio come uno dei punti forti dell’adattamento, e la Parte 1 della seconda stagione lo conferma pienamente. Stefano Crescentini, voce di Sogno, continua a bilanciare mistero e fermezza, spostandosi con naturalezza dal sussurro all’ordine imperioso. La sua performance si fa notare soprattutto nei momenti di silenzio: anche un respiro o un cambio impercettibile di tono diventano rilevanti per definire lo stato emotivo del personaggio.
Accanto a lui si mette in evidenza l’intero cast vocale, che restituisce le sfumature dei vari Eterni senza scadere nell’enfasi. Questa coerenza tonale contribuisce a rinforzare l’unità tematica della serie: gli Eterni non sono “voci fuori campo”, ma parti integranti dell’universo narrativo, entità che comunicano la propria essenza anche attraverso intonazioni e pause.
Ritmo e omissioni: quando la fretta si sente
Il contraltare della scelta di aumentare la velocità è la rinuncia a diverse storie brevi che, nel fumetto, spezzavano l’azione e allargavano l’orizzonte emotivo. Se da un lato il pubblico che vuole “andare al sodo” apprezzerà la tensione costante, dall’altro chi amava il respiro poetico dei capitoli scollegati potrebbe sentire la mancanza di quelle pause narrative. Il rischio principale è che alcuni passaggi emotivi – soprattutto legati ai comprimari – risultino meno incisivi perché subordinati alla progressione della trama principale. Tuttavia la serie evita quasi sempre di scivolare nella mera esposizione: anche quando deve fornire informazioni, lo fa attraverso scelte visive o brevi scambi di battute che non interrompono il flusso drammatico.
Va detto che l’episodio 16, pur servendo da cerniera, finisce per trasmettere una certa sensazione di “intermezzo”: un capitolo di servizio più che un atto conclusivo autonomo. Non è un vero difetto, se lo si considera come parte di un disegno più grande, ma può lasciare un senso di sospensione per chi vive la stagione in due tranche distinte.
Comparto tecnico: coerenza, cura e nessuna sbavatura
Sul fronte della messa in scena, la Parte 1 non conosce cali. La CGI è coerente dall’inizio alla fine, con texture credibili e una perfetta integrazione di luci e ombre reali. Anche le sequenze più ambiziose – panoramiche sugli infiniti corridoi del regno onirico o sulla superficie dell’oceano su cui si stagliano castelli di sabbia – mantengono un rapporto diretto con la fotografia, evitando l’effetto cartolina. La colonna sonora, come già accennato, predilige la sottrazione: pochi accordi, linee melodiche ricorrenti e uso strategico del silenzio. È un accompagnamento più che un commento, in linea con l’idea che il vero protagonista debba essere il viaggio interiore di Sogno.
La stagione insiste sul confronto fra Sogno e gli altri Eterni, rafforzando il tema dell’identità in evoluzione. Il protagonista, signore di un concetto immutabile come il sogno, è costretto a fare i conti con il cambiamento – proprio e altrui – e con la responsabilità che deriva dal suo ruolo. Ogni episodio, anche quando sembra concentrarsi su una questione “esterna”, è in realtà un tassello nella riflessione più ampia su cosa significhi cambiare senza tradire se stessi. Questo filo rosso, già evidente nei primi dieci capitoli, diventa più esplicito nella Parte 1 della nuova stagione, proprio perché la narrazione non ha più scampo: il finale si avvicina, e con esso la necessità di rispondere alle domande rimaste in sospeso.