Il prossimo 8 maggio in Italia arriverà The Legend of Ochi, il film del debutto da regista cinematografico di Isaiah Saxon, che aveva all’attivo la realizzazione di numerosi videoclip musicali. Americano, nato nel 1983, è particolarmente amante degli effetti visivi analogici, consistenti quindi in trucchi di prospettiva, di pittura, utilizzo di animatronics e, solo secondariamente, di CGI nel vero senso del termine, quella digitale.
The Legend of Ochi è un lungometraggio di 96 minuti di durata di genere fantasy, ambientato in un’immaginaria isola sul Mar Nero in Romania, chiamata Carpathia. Realizzato con “soli” 10 milioni di dollari di budget, vede nomi molto importanti tra il casting. Williem Defoe interpreta infatti Maxim, il padre della protagonista Yuri (Helenza Zengel), mentre Finn Wolfhard, l’iconico Mike di Stranger Things, interpreta il fratellastro adottivo. Presente anche la bravissima Emily Watson, anche lei parte della famiglia, grandissima attrice che si è recentemente vista nelle serie – entrambe HBO – Chernobyl e Dune Prophecy (dove interpretava la Reverenda Madre del Bene Gesserit).
Yuri, ragazza adolescente alquanto ribelle, vive insieme al padre Maxim e al fratello adottivo Petro, in un villaggio dell’isola di Carpathia. Un villaggio che non ha conosciuto globalizzazione, dove gli abitanti ancora vivono di caccia, pesca ed agricoltura, immersi in quella che non sembra neanche la nostra epoca e dove la tecnologia è appena accennata (anche se è possibile temporizzare la storia ai giorni nostri). L’economia di questo villaggio è minacciata dagli Ochi, creature a tratti inquietanti a tratti affascinanti che popolano le foreste, ma che attaccano animali, raccolti ed anche umani, mostrandosi molto pericolosi e talvolta mortali.
Maxim assolda un intero gruppo di bambini ed adolescenti, il cui più grande è il figlio adottivo Petro, in attacchi notturni alla popolazione degli Ochi per salvare il villaggio e al tempo stesso vendicarsi di tutte le perdite subite a causa di questi “animaletti”. La squadra di Maxim, armata fino ai denti, si rivela però impacciata e poco efficace. Yuri, avendo avuto modo di conoscere un piccolo Ochi ferito, si ribella al padre, convinta che la madre, non più presente a casa, le sia stata nascosta e sia in vita da qualche parte. Il rapporto tra il piccolo Ochi e Yuri è al centro del film, e porta grossi cambiamenti nei loro rapporti familiari, ma anche alla storia degli Ochi e del villaggio. Naturalmente, meglio non entrare troppo nel dettaglio per evitare spoiler fastidiosi.
Il debutto cinematografico di Isaiah Saxon
The Legend of Ochi è un piccolo film poetico, sospeso in un’epoca cinematografica che forse non esiste più. Ricorda molto gli anni ’80 di E.T., a cui il regista ha sostenuto di essersi ispirato, ma il richiamo a Stranger Things è automatico, anche grazie alla presenza di Finn Wolfhard. Gli effetti visivi d’altri tempi spiazzano, perché semplicemente non siamo più abituati a vederli, ma non danno fastidio. Anzi, fanno assomigliare l’opera cinematografica in una tela in movimento. Animatronics e poca CGI, complice anche il basso budget, comunque credibili. Tutt’altro che credibili le ambientazioni, ma attenzione, in accezione positiva! I paesaggi, le foreste, i laghi e le montagne, sono praticamente onirici, delle vere e proprie pitture che niente hanno a che fare con il mondo come lo conosciamo noi (per questo possono risultare non credibili). Si tratta però del vero fulcro della storia.
The Legend of Ochi, anche grazie alla fotografia in mezzo ad ambientazioni fantastiche, alla musica eterea, ai suoni musicali emessi dagli Ochi, è una grande parabola. Il rapporto tra Yuri e il piccolo cucciolo di Ochi sembra una scusa per parlare anche di altro. Tramite loro due, una figlia si ribella al padre, capendo che dietro l’aggressività di questi piccoli animali si nasconde in realtà molto di più. Nella loro comunità nelle foreste c’è amore, famiglia, protezione: niente di diverso che nella comunità umana. Insomma, forse c’è una possibilità di convivenza, semplicemente convincendosi a vicenda di essere buoni e non voler altro che il bene dei propri cari. Sostanzialmente, il film parla, in maniera poetica (e forse fin troppo stucchevole) di inclusività.
Sembrerebbe tutto molto bello, ma è difficile dire che questo sia un film riuscito. Sembra brutto da dire, ma “non lascia molto”. Lo spettatore medio, all’uscita della sala, cosa pensa? Sarà veramente portato a raccontare agli amici e alla famiglia i messaggi di questo lungometraggio? Racconterà di quanto carini/inquietanti fossero gli Ochi o di quanto antipatica risulti talvolta Yuri (molto più probabile la seconda ipotesi)? E gli Ochi, sono così diversi da tante creature fantastiche che abbiamo conosciuto grazie ad altre opere? Ecco, il problema principale di The Legend of Ochi è che non risulta poi così originale, ma un po’ fine a sé stesso. Più esercizio di uno stile registico e di story-telling in acquisizione, di una firma in formazione, che un film d’autore da ricordare.
Anche le recitazioni, di Willem Defoe (è sempre bravo e lo sarebbe anche se interpretasse una finestra) e di Emily Watson, non riescono a spiccare e convincere, forse perché la sceneggiatura non spinge abbastanza. Meglio sorvolare invece su Finn Wolfhard, completamente inutilizzato e personaggio praticamente inesistente.
Ricordiamo che The Legend of Ochi sarà al cinema a partire dall’8 maggio, e sarà sicuramente più apprezzabile da bambini e ragazzi che hanno bisogno di un’ora e mezzo di intrattenimento.