Chi bazzicava le sale-giochi ricorderà grandi classici come Streets of Rage e Final Fight, che da soli basterebbero per identificare un genere in voga negli anni ’80 e caduto nel dimenticatoio. Dopo diversi tentativi di resurrezione, ci si è resi conto che quello dei picchiaduro a scorrimento è un genere che difficilmente riesce a conquistare il grande pubblico. Raging Justice vuole omaggiare le iconiche opere sopracitate, ma anche rinnovare al suo interno il genere dei brawler, leggendaria sotto-categoria dei picchiaduro bidimensionali.
A livello strutturale, il gioco non inventa proprio nulla. La premessa narrativa, non tra le più originali ma sicuramente in linea coi canoni classici del genere, vede una città piombata nel caos e nella violenza più brutale, senza controllo, corrotta e in pugno alla criminalità. Il sindaco è stato rapito e solo tre valorose personalità possono fermare l’escalation di violenza e senza controllo che bracca i pochi cittadini onesti rimasti. Il primo è Rick Justice, 42 anni, uno sbirro veterano della vecchia scuola, non gioca mai secondo le regole ma ottiene sempre ciò che vuole; Nikki Rage, 31 anni, è una ex militare molto abile a trovarsi sempre in mezzo a delle cattive faccende; Ashley King, 15 anni, è il personaggio che può apparentemente sembrare fuori luogo, eppure la sua infanzia trascorsa nel ghetto della città, oltre ad averla già forgiata, è stata rovinata dal timore della violenza tra bande, ed è costantemente in cerca di un riscatto sociale. In termini puramente narrativi, il gioco si riduce a questo, contornato da una trama piuttosto triviale e scontata. Nessuno dei tre personaggi ha in fondo una propria storia, la scelta del giocatore è solo tecnica ed estetica.
Se il comparto narrativo può risultare stucchevole, differente è il discorso da fare per l’approccio al gameplay. Attacchi che si suddividono nei classici pugni, calci, le varianti aeree, uso e lancio di armi bianche e da fuoco, attacchi da terra e prese. C’è da considerare che Raging Justice non lascia molto margine di errore nemmeno a difficoltà media. Il gioco risulta sempre impegnativo, pertanto bisognerà riuscire a gestire al meglio evasioni e attacchi. Durante le partite, con uno stile puramente arcade e suddiviso a livelli, alcune movenze dei personaggi possono dare dei vantaggi evidenti. Vi basterà spesso alternare pugni rapidissimi, la classica spazzata e la capriola per venire fuori dalle situazioni più intricate. Difficilmente utilizzerete tutte le mosse a disposizione, perché il gran numero di nemici vi costringerà a uscire da spiacevoli situazioni nelle maniera più spicciola, senza far sfoggio di virtuosismi. Ne consegue che il bilanciamento, in alcuni frangenti, poteva essere studiato decisamente meglio. Inoltre, ciascun livello ha delle sfide interne facoltative da portare a termine, talune legate al punteggio, altre dipendenti da determinati parametri, come il tipo di arma con cui si fa fuori un nemico o quanto tempo si impiega per uccidere un boss. Giocare a facile, normale o difficile cambia lo stile delle sfide proposte, motivo per cui è bene prima conoscere a menadito tutto il gioco e poi tentare di completarlo al 100%.
La vera novità introdotta dal titolo di MakinGames è il sistema di condotta del giocatore, con conseguenze derivanti dalle scelte fatte. Per ciascuna delle nove missioni disponibili, dalla schermata introduttiva è possibile vedere quali condizioni sono state soddisfatte: fare il cattivo poliziotto significherà uccidere in maniera violenta i teppisti che pullulano per le strade (a coltellate, colpi di ascia o persino guidando per pochi secondi trattori e trebbiatrici); fare il bravo poliziotto si tradurrà negli arresti di chi ha una taglia sulla propria testa. In quest’ultimo caso i nemici, dopo essere stati malmenati, rimarranno storditi: toccherà a voi avvicinarvi tenendo premuto il tasto per la presa e ammanettare i malcapitati. Picchiarli vi darà un punteggio maggiore, arrestarli vi farà ottenere un bonus per la salute. A voi la scelta.
Considerando la difficoltà elevata del gioco, è apparsa intelligente la possibilità di poter proseguire dall’ultimo livello anche dopo il game over, inserendo un sistema che tiene in memoria il vostro status migliore ottenuto in precedenza: se, ad esempio, siete arrivati con un massimo di tre vite e due checkpoint, partirete in queste condizioni. Badate bene, ogni difficoltà è separata dall’altra, come se fossero tre salvataggi differenti. L’altra modalità di Raging Justice è Brawl, che consiste nel sopravvivere il più a lungo possibile a diverse ondate di nemici sempre più pericolose. Va detto che è generalmente più difficile della modalità storia e tentare di completarla potrebbe darvi non pochi grattacapi.
La direzione artistica nel suo complesso convince poco. Lo stile grafico è particolare, alcune scelte sono volutamente strambe, ma è tutto il resto che non convince. I modelli pre-renderizzati dei nemici sono realizzati in 3D, così come gli scenari, ma l’impasto che ne viene fuori sembra davvero poco congeniale. Sarebbe stato meglio optare per dei modelli bidimensionali di ben altra fattura, in pixel art o disegnati a mano. Inoltre, nonostante sembra una precisa scelta stilistica, durante l’esperienza di gioco si sente la mancanza di animazioni di raccordo tra i livelli.
Raging Justice è un buon picchiaduro a scorrimento, ma che non inventa nulla di nuovo. Sebbene alcune scelte artistiche siano convincenti, altre rimangono francamente inspiegabili. Il livello di sfida è particolarmente elevato, ma l’opera è un’operazione videoludica che fa della nostalgia e dello sfruttamento dei canoni classici del genere i propri cavalli di battaglia. Il coraggio del publisher nel voler riproporre i fasti di un genere oramai tramontato è senz’altro da apprezzare.