Queer è un film del 2024 e arrivato nelle sale cinematografiche il 17 Aprile 2025. Il film è diretto da Luca Guadagnino, e come protagonisti vede Daniel Craig e Drew Starkey. È l’adattamento cinematografico del romanzo di William S. Burroughs, ed è stato presentato in anteprima alla scorsa Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia, per poi passare anche al Toronto International Film Festival e dal New York Film Festival.
Una storia oltreoceano
Queer è ambientato a Città del Messico negli anni ’40, dove l’americano Lee (Daniel Craig) ha trovato rifugio dopo essere scappato da New Orleans per evitare un arresto per droga. Nella capitale messicana, Lee passa il suo tempo frequentando i bar della città pieni di studenti universitari americani espatriati, soldati congedati e altri personaggi ai margini della società che vivono di sussidi. Qui s’infatua di un militare della Marina americana in congedo, Allerton (Drew Starkey), un tossicodipendente che, sebbene inizialmente indifferente alle sue avances, alla fine cede, ma solo quanto basta per rendere i desideri sessuali di Lee ancora più un’ossessione. Insieme, intraprendono un viaggio in Sud America alla ricerca di una droga nota come “Yage”, che secondo Lee lo renderà un sensitivo.
Un buon adattamento che rispecchia lo stile dell’autore
Se qualcuno si affaccia a questa pellicola senza aver letto il romanzo, si ritroverebbe un adattamento abbastanza fedele, ma c’è il rischio che non capirebbe del tutto alcuni dei passaggi mostrati. Burroughs è un autore molto particolare, e quando si legge un suo libro si percepisce che è anche autocitazionista, tendendo ad inserire alcuni suoi aspetti personali o eventi a lui realmente accaduti, con simbolismi e metafore.
In passato anche David Cronenberg ha adattato un romanzo di Burroughs (Pasto Nudo), e considerando lo stile del regista di The Shrouds – Segreti Sepolti, il risultato è stato più che soddisfacente e in linea con la visione dell’autore. Ora è toccato a Guadagnino, un altro regista con uno stile che si sposa con quello di Burroughs. In Queer ci si sposta negli anni 50, in Messico, e in quel periodo l’omosessualità era inaccettabile, e già dal film si nota, anche se superficialmente, il pregiudizio dei passanti. Nel romanzo, Burroughs ha voluto parlare dell’omosessualità e della dipendenza dalla droga incarnandole in Lee, che si può considerare il suo alter ego, e si vocifera che alcune scene viste nel film, l’autore stesso le abbia vissute per davvero. Guadagnino è stato molto attento, arrivando anche ad osare in alcuni momenti e commettendo qualche errore, e solo uno come lui poteva adattare questo romanzo.
Lo stile registico di Guadagnino
Se si guarda la filmografia di Luca Guadagnino, si può notare che ogni pellicola è incentrata sull’amore, ed ognuna è stata caratterizzata da un aspetto differente dell’amore stesso. Rispecchia spesso la tematica dell’amore in tutte le sue forme, anche quelle più “insolite” e non comprese da tutti. Oltre questo, Guadagnino mette un sacco di significati nascosti e diverse metafore.
Luca Guadagnino non è un regista compreso da molti. Ha uno stile particolare nel girare i film, e può vantarsi di un curriculum di tutto rispetto. Sostanzialmente, lui non vuole mirare al mero intrattenimento, vuole spingersi oltre. Punta soprattutto al far provare emozioni allo spettatore, e ci riesce, perché nei suoi film trasmette la sua sensibilità d’animo. Questo viene incarnato spesso, assieme alla passione, alle emozioni e alle ossessioni presenti nei personaggi dei suoi film e li trasmette a sua volta, agli spettatori. Inoltre, è sempre riuscito a circondarsi di buoni collaboratori, rendendo i suoi lavori delle vere e proprie opere d’arte e curando tutto in ogni minimo dettaglio (musica, location, fotografia, set design, costumi, ecc.). Infatti, ogni volta riesce a coordinare tutto con cura, riuscendo a creare una combinazione ben strutturata.
Ha esplorato la ricerca dell’amore di un’adolescente attraverso la sessualità (Melissa P.), una storia estiva che colpisce in modo particolare almeno una volta nella vita e sfiorando la bisessualità (Chiamami Col Tuo Nome), il triangolo amoroso (Challengers) e tanti altri aspetti. Stavolta, ha voluto adattare Queer e con esso, esplora l’omosessualità (e non solo).
Non solo omosessualità, ma anche rapporti tossici
Queer è una storia che parla di omosessualità, ma in realtà non vuole concentrarsi solo su di essa. Se in Chiamami Col Tuo Nome era quasi irrilevante perché anche se i due protagonisti erano due ragazzi e hanno vissuto una storia estiva che li ha segnati per tutta la vita, in realtà non erano omosessuali. In Queer, invece, ci si vuole concentrare sull’omosessualità, ma non si tratta del tema centrale. Le scene di sesso non sono ingombranti, ma esplicite e ben dirette. Oltre l’aspetto erotico, vuole anche mostrare altri aspetti del rapporto tra i due protagonisti, e si concentra sull’ossessione (quindi, non è un sentimento autentico ma una sopravvalutazione di esso) e sulla tossicità presenti. Anzi, se si pensa bene, la tossicità può essere presente in ogni tipo di rapporto sentimentale (non in tutti, ma in buona parte), al di là dell’orientamento.
Il film ha voluto parlare anche di questo, ed è una chiave di lettura verso i rapporti sentimentali tossici presenti nella società contemporanea (oggi più frequenti), nonostante sia ambientato in un periodo storico passato. Vuole dimostrare come vengono sopravvaluti o confusi certi sentimenti con l’ossessione e come questo porta in dinamiche tossiche e un continuo giro sulle montagne russe emotive. Il rapporto tra Lee ed Allerton è un esempio e per tutto il film si notano situazioni tossiche, cascando però nella ridondanza.
Interpretazioni, comparto tecnico, ritmo
A proposito dei due personaggi principali, non si può ignorare l’interpretazione dei due attori. L’ex 007 Daniel Craig regala una delle migliori, se non addirittura la migliore, performance della sua carriera, e ha messo tutto sé stesso in questo ruolo. Si sarebbe meritato almeno una candidatura come Miglior Attore Protagonista agli Oscar (riconoscimento mancato ed è stato un peccato). Anche Drew Starkey è stato bravissimo, ed è riuscito a far odiare il suo personaggio, motivo già valido per definire la sua bravura.
Il film vanta anche di un buon comparto tecnico, che comprende una regia eccezionale, un buon montaggio, una fotografia colorata e una colonna sonora incredibile, composta ancora una volta da Trent Reznor e Atticus Ross che fanno ormai squadra fissa con Guadagnino (squadra che vince non si cambia! ndr).
Queer però non è un capolavoro come alcuni dicono, ma un buon film e nel bene e nel male, e per questo si merita una visione. Il film ha comunque i suoi difetti, come un ritmo discontinuo e altalenante che si percepisce nell’ultimo atto. I primi due capitoli, seppur ogni tanto girassero attorno e qualche scena risultasse ripetitiva, scorrono con un buon ritmo che però va a scendere nel terzo. Guadagnino ha voluto strafare con sequenze oniriche visivamente spettacolari, ma si è spinto troppo oltre.
Se si conosce la biografia dell’autore, alcune scene sono una rappresentazione di eventi suoi personali, ma altre oscillano tra il coinvolgimento e la perplessità. Un vero peccato, perché sarebbe bastato stare più attenti, e il film sarebbe divenuto un capolavoro. Forse si sarebbe potuto giocare meglio su alcuni aspetti, ma Queer resta un film da vedere assolutamente in sala.