La Zona d’Interesse – Recensione, uno studio sulla “bolla umana”

Il sogno di una vita perfetta si fa realtà accanto al più grande orrore mondiale: Auschwitz e il suo paradosso arrivano sul grande schermo.

Laura Traina
Di Laura Traina - Contributor Recensioni Lettura da 5 minuti
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La Zona d'Interesse

Acclamato al Festival di Cannes 2023 e candidato ora a 5 Premi Oscar, arriva il 22 febbraio al cinema La Zona d’Interesse di Jonathan Glazer, regista già noto per Under the Skin e Sexy Beast – L’ultimo colpo della bestia, oltre ai suoi numerosi videoclip.

La pellicola è un adattamento cinematografico del romanzo scritto da Martin Amis nel 2014, e narra la storia di Rudolf Höß (interpretato da Christian Friedel), comandante del campo di concentramento di Auschwitz che vive con la sua famiglia all’interno della cosiddetta “Area di interesse”, una villetta che si estende proprio accanto al Lager. Gli Höß trascorrono la loro quotidianità tra il lavoro di lui, la cura del giardino della moglie (Sandra Hüller) e i giochi dei figli, ignorando volutamente l’orrore che accade al di là del muro che circonda la loro casa. La pellicola non si presenta come un comune film storico, ma è un’indagine accurata del lato paradossale e assurdo della situazione nazista e umana.

La potenza del suono

Lo spettatore non viene fin da subito catapultato nella realtà del campo di concentramento; quello che si cela al difuori della bolla famigliare tedesca è svelato a tratti, poco a poco. Un obbiettivo che si raggiunge anche grazie all’uso del suono, un importantissimo elemento di tutto il prodotto filmico. La pellicola inizia con alcuni minuti di audio montato su schermo nero, un suono coinvolgente creato da Mica Levi con voci, urla e musica, che evoca fin da subito i brividi e l’inquietudine della storia narrata. Ma l’importanza dell’ascolto continua poi per tutta la durata del film, in più occasioni infatti il suono è utilizzato per creare un contrasto tra la quiete poetica delle immagini degli Höß e l’evocazione del dolore umano nel campo.

La zona d'interesse

Una paradossale simbologia

I rumori della natura, poi, emergono tra tutti gli altri in maniera preponderante, sottolineando la sua presenza viva e costante: è un quadro di sfondo incolume da tutto quello che accade. Una natura umanizzata quindi, così come gli animali, amati con grande affetto da tutti i membri della famiglia. Un’ennesima contraddizione, se si pensa all’odio che Rudolf prova invece verso un popolo umano, quello ebreo. Di simbologie all’interno della pellicola ve ne sono tante e ne è esempio lo stile registico: inquadrature semplici, precise e dirette, che rispecchiano lo status quo del protagonista e della sua vita ordinatamente tracciata. Un uomo costantemente vestito di bianco, come a coprire la sua anima troppo sporca.

La voce del fuoricampo

Ogni dettaglio nelle inquadrature assume molta importanza, svelando l’influenza di una precisione kubrickiana. C’è uno stile quasi documentaristico e la macchina da presa rimane distante, allontanando lo spettatore da un possibile coinvolgimento empatico con i protagonisti. Una scelta voluta quella di rimanere “fuori” in molte situazioni, quella di raccontare qualcosa utilizzando il più delle volte il “fuoricampo“. Un’ottima decisione questa, perché, come si direbbe, “a volte il non detto è più forte del detto stesso“. Ripetutamente infatti le riprese si fermano appena “prima di” – o riprendono poco dopo, creando un gioco di sospensioni costante.

La zona d'interesse

Finzione o Realtà?

Tutto è estremamente reale, i colori, la fotografia, il modo di recitare degli attori, ci sembra come se stessimo spiando la storia da uno spioncino e i piani sequenza ci guidano a zig-zag tra le vicende dei protagonisti. In alcuni momenti ben precisi prende piede invece la simbologia di Glazer, e nel pieno del realismo fotografico prendono vita immagini in negativo, dove il chiaroscuro è invertito.

Inizialmente pare un espediente per narrare i sogni notturni delle bambine tedesche, in seguito ci rendiamo invece conto che lo stile serve a descrivere momenti reali, attimi di vita rubati del popolo ebraico, presentati qui in maniera simbolica.La zona d'interesse

La Zona d’Interesse usa come pretesto una storia passata per fornirci in realtà un quadro esemplificativo di comportamenti umani molto attuali: l’indifferenza difronte a tragedie umane e universali, l’attitudine a trascorrere la propria vita all’interno di una sfera chiusa e protetta noncuranti del resto, e l’assurdo egocentrismo dell’uomo.

È quindi un film in un certo senso molto contemporaneo che allo stesso tempo rende memoria ad un accadimento storico di notevole importanza. Un capolavoro curioso, dove l’arte filmica è messa al primo posto firmata in maniera raffinata dalla penna registica di Jonathan Glazer: un prodotto che merita davvero di essere visto.

La Zona d'Interesse
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Contributor
Appassionata di cinema, laureata in DAMS e attrice di professione. Respiro di creatività e scrittura.