Tokyo è morta. Non potevamo iniziare questa recensione de La Casa di Carta 5 se non con questa informazione… e soddisfazione a dirla tutta. Forse sarà ardito dirlo, forse non sarà condiviso da molti, ma finalmente Tokyo è morta. Non è uno spoiler: la prima parte della quinta ed ultima stagione, quella uscita lo scorso 3 settembre, era terminata proprio con la sua morte. Una morte, tra l’altro, di una bruttura unica. Inverosimile, ridicola, all’interno di una scena ai limiti dell’imbarazzante che non fa che ricalcare e confermare quell’antica e consolidata legge non scritta de La Casa di Carta che dice che in questa serie la gente non muore mai. O meglio, non viene mai colpita dai proiettili e se misteriosamente ciò accade, si fa troppo poco male.
Perché sì, Tokyo è morta, ma sono serviti circa 612 proiettili e nonostante tutti i suoi arti fossero più bucati di uno scolapasta, è comunque riuscita a rispondere al fuoco dell’esercito inviato all’interno della Banca di Spagna e a farsi esplodere con una granata, uccidendo sei soldati, tra cui Gandia, più immortale di lei. Tokyo è morta. Un personaggio debole fin dall’inizio, inutile, non indispensabile nell’economia della storia se non nello zavorramento del ritmo tra monologhi ridondanti e secoli di luoghi comuni sull’amore tra lei e il povero Rio, più utile di lei, ma di pochissimo. Una delle domande più frequenti che i fan si sono fatti in questi anni di serie, infatti, è sempre stata: “Perché la voce fuori campo che narra la storia è proprio la sua?”. Bella domanda: non lo sappiamo e non lo sapremo mai. Ma in realtà neanche ci interessa.
La Casa di Carta è finita con questa stagione numero 5 e ci siamo lasciati pochi mesi fa con la recensione dei primi cinque episodi. Oggi commentiamo gli ultimissimi cinque e subito menzioniamo il primo grande difetto di tutta la seconda “era” della Casa di Carta. Quella postuma al grande successo casuale di quando non era neanche una serie Netflix, quindi del filone narrativo che non riguarda la Zecca di Stato, ma la Banca di Spagna. Il difetto dell’esagerata dilatazione dei tempi, in tutti sensi, sia nei tempi delle uscite delle varie stagioni e parti, povere in numero assoluto di episodi e di conseguenza malamente spalmati in questi anni, sia nei tempi narrativi. Accade tutto troppo lentamente nonostante la storia duri una piccola manciata di giorni. Oltre al fatto che i personaggi cambino aspetto a vista, il problema è proprio la memoria degli spettatori.
A forza dei flashback creati per tenere in vita i personaggi morti, tra cui il più inflazionato Berlino, e delle varie digressioni sull’amore, lo spettatore dimentica cosa stia succedendo. Le azioni sono lentissime e durano svariati episodi, neanche fossimo in Dragon Ball Z. Un personaggio sta per fare qualcosa e noi ci siamo già dimenticati il perché lo stia facendo, magari perché nel frattempo è passata una stagione; ci dimentichiamo perché qualcosa succeda e da quando. È chiaro che la Casa di Carta abbia perso contenuti ed originalità nel corso delle stagioni, ma a tutto c’è un limite e soprattutto una via di mezzo (per esempio, rinunciare a qualche euro e chiudere la serie prima).
La Casa di Carta 5: dove eravamo rimasti?
Insomma, il colpo alla Banca di Spagna continua. Questa volta la banda del professore non sta fabbricando banconote da zero per rubarle (senza creare danni alla popolazione, che non verrebbe privata di nulla), ma sta rubando le riserve auree di Stato. Uno dei motivi principali per cui la precedente recensione ha massacrato La Casa di Carta 5 parte 1, è stato proprio il modo con cui il pubblico all’interno della serie, cioè gli spagnoli, reagiva a questo fatto. Il professore stava rubando loro la credibilità creditizia del paese, il potere d’acquisto, la capacità di stringere accordi internazionali e dare garanzie, e loro cosa facevano? Gioivano, erano d’accordo. Tutto ciò non ha alcun senso e continua a non averne. Non sarebbe neanche compatibile con il pensiero del professore quello di distruggere la Spagna e gli spagnoli; lo sappiamo che non lo farebbe mai. Infatti, sorpresa, non è come sembra. Il professore ci ha pensato, ma ne dobbiamo parlare più tardi.
Nel frattempo, la polizia, l’esercito, gli alieni e tutto il resto, al comando di Tamayo, il personaggio peggiore dello show (dopo Arturito naturalmente), cerca di chiudere la faccenda, con il Professore messo alle strette dal personaggio migliore di questa stagione, Alicia Sierra, che abbiamo lasciato proprio nella tana del capo della banda. Ok, sembra che sia finita, che i ladri d’oro siano stati sconfitti, che la Sierra stia per arrestare il professore nonostante la presenza di Marsiglia (secondo personaggio migliore della stagione) e di Benjamin, ma non c’è miglior modo di fuggire da questo improvviso e inaspettato blocco narrativo se non con il parto di Alicia. Sì, perché dopo cinque episodi di possibilità, perché non partorire proprio nella tana del professore? Perché non fare in modo che si debba instaurare un rapporto di collaborazione tra i due che avvalori la tesi di cui abbiamo parlato nella precedente recensione? La ridondanza dello show, di una situazione che è piaciuta in passato e che quindi va ripetuta in futuro. Sembrerebbe proprio così: che come tra il professore e Raquel si è passati dall’inimicizia all’amore, qualcosa possa cambiare anche tra lo stesso professore ed Alicia, ma parlarne in maniera approfondita anticiperebbe troppi elementi che riguardano il finale.
Un finale perfetto
Sorvoliamo tante cose. La lentezza, l’inutilità dei flashback (anche se finalmente la lunghissima digressione sul figlio di Berlino diventa utile nell’economia del finale), le musiche scopiazzate dalla colonna sonora di Humandroid di Hans Zimmer, i dialoghi inascoltabili, le inesattezze economiche riguardo il vero valore dei lingotti d’oro nelle riserve di uno Stato e lungaggini varie che ammorbano le vicende a ogni cambio d’inquadratura, e parliamo solo un momento del finale. Perché sì, dopo 3 intere stagioni superflue, una prima metà di quinta stagione malamente riuscita e una rapina praticamente inutile, il finale di questa saga è semplicemente perfetto. Da manuale, ideale, l’unico possibile. L’unica maniera di far terminare questa storia è proprio quella in cui è terminata. Non c’è una virgola fuori posto, ogni dettaglio è stato considerato e, a parte il ruolo del figlio di Berlino (giustificato dai flashback ma poi per niente approfondito), è tutto veramente giusto. La Casa di Carta è finita, come doveva finire, seppur con troppi episodi di ritardo. Ma che sia piaciuta o che non lo sia, poco importa, dal momento che volenti o nolenti è già diventata un “precedente”. Da qualche anno a questa parte, ogni opera che riguardi una rapina sarà vista come prima o dopo La Casa di Carta. Se sembra che tutto ciò sia troppo positivo, non serve disperarsi: è in arrivo uno spin-off sul personaggio di Berlino.