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Kingdom of the Dead – Recensione, un FPS cattivo e psichedelico

Moltissimi sono stati gli esperimenti per quanto concerne il panorama indie contemporaneo. Con “esperimenti” s’intende quando uno sviluppatore tenta d’ibridare all’interno del proprio titolo non soltanto generi ed elementi, ma anche sensazioni e momenti vari. Ciò ha condotto alla nascita di quei titoli che in apparenza potrebbero sembrare fortemente legati agli stilemi di una precisa “tradizione videoludica”, suscitando però al tocco anche tantissime altre cose differenti. Certamente un approccio del genere, in un progetto per il pubblico, deve sempre cercare di dosare e dosarsi, soprattutto quando mette in campo un genere spolpato fino all’osso. Dinamizzare un minimo è la parola chiave nel creare qualcosa che si origina da esperienze passate per poi ripresentarsi in un presente abbastanza saturo di titoli, esperimenti, progetti, idee e pubblicazioni di ogni sorta. Tenendo a mente tutto questo andiamo ad analizzare Kingdom of the Dead nella nostra recensione.

Un FPS… disturbante 

Nel gettare le basi del proprio videogioco i ragazzi di Dirigo Games hanno viaggiato parecchio con la fantasia, realizzando una trama di apertura relativamente semplice ma al tempo stesso fantasiosa nel suo insieme. Gli eventi di Kingdom of the Dead si avviano nell’immediato senza troppi fronzoli e, come vedremo avanti nella recensione, si tratta di una metodologia distintiva dell’intero videogioco nel presentarci le sue vicende principali. Siamo nell’anno 1867, e in seguito al termine della Guerra di Secessione l’America si ritrova davanti una nuova minaccia. Questa si palesa in un momento complicato per il paese, in un momento di ripresa.

La Morte stessa vuole invadere la nazione e, si suppone, l’intero pianeta. Le sue armate oscure cominciano ad arrivare in ogni dove attraverso alcuni particolari varchi, portali che non trovano ancora una spiegazione certa. L’unica soluzione parrebbe essere quella di affrontare queste mostruosità per “mettere una pezza” laddove serva. 

Kingdom of the Dead recensione

In funzione di tutto ciò è stata istituita una sezione particolare di uomini, i cosiddetti Gatekeeper (nome parecchio esplicativo per il loro compito), i quali dovranno assolvere al dovere a cui sono stati chiamati. Le armate della Morte in contrasto con una sezione formata da ex-militari segretissima sarà il fulcro, a giustificare tutta la violenza all’interno di questo videogioco. Il nostro protagonista, Chamberlain, si ritroverà dopo la guerra ad assolvere nuovamente il suo dovere civile, anche se questa volta gli avversari sono ben differenti da quelli del recente passato. Il tutto si muove non attraverso scene particolari o costruite, ma lettere e messaggi mandati al nostro protagonista da parte del governo, il quale lo indirizza di volta in volta nelle varie locazioni di questi portali.

Vecchia scuola 

Come dicevamo in apertura, Kingdom of the Dead è un titolo estremamente classico nel suo porsi al giocatore, un FPS che ricorda tantissimo titoli come Doom (è impossibile non pensarlo qui la nostra recensione dell’ultimo capitolo), fondendolo però a uno stile estetico che sperimenta un minimo con i livelli e l’ambientazione in generale. Quello che dovremo fare di livello in livello sarà eliminare più o meno tutto ciò che si muove (carino il fatto che i corpi stessi dei vari mostri siano soggetti a menomazioni specifiche da parte dei nostri attacchi).

Avremo la nostra vita, segnalata da cuoricini di zeldiana memoria, le nostre armi dalla lunga e media distanza (pistole e fucili reperibili in giro per le varie ambientazioni), le varie munizioni, e una particolarissima spada che sarà con noi fin dall’inizio. Quest’ultima sarà uno dei primissimi e pochi elementi a distinguere il videogioco, collocandolo in una dimensione sua. La spada, inoltre, è disegnata da particolari caratteristiche che non andremo a spoileravi onde evitare di rovinare l’esperienza. Sappiate però che anche a livello pratico sarà interessante sperimentare i vari approcci al nemico passando dall’attacco ravvicinato a quello a distanza con le altre armi.

Oltre a uccidere mostri vari (tra cui anche giganteschi boss) un altro elemento centrale del videogioco resta l’esplorazione. In ogni area a disposizione è fondamentale l’armarsi di coraggio per spulciare ogni angolo del posto, distruggendo anche le varie casse. Non si sa mai cosa si potrebbe scovare. Inoltre disseminati lungo il percorso abbiamo altre piccole task secondarie, come ad esempio liberare alcuni ostaggi. Tutto ciò conduce a un altro elemento del titolo: ogni missione, infatti, potrà essere affrontata in varie difficoltà da Agentis a Speciali Agente a Prenceps Agente. Ognuna di queste complicherà sempre di più la riuscita finale della run aggiungendo nuovi obiettivi da completare mentre l’azione prende il sopravvento, disegnando una rigiocabilità che non guasta affatto l’esperienza. Il cuore pulsante del titolo resta comunque il sangue freddo di chi sta giocando, dato che i nemici lungo la via saranno molteplici, anche se molto classici.

Disturbo, ma anche fascino 

Nella sua totalità quindi Kingdom of the Dead offre due cose al giocatore, adrenalina pura, e come leggerete in chiusura di recensione, uno stile piuttosto particolare e ricercato. È proprio quest’ultimo a catturare l’attenzione nell’immediato con un’estetica in bianco e nero che localizza i lineamenti di ogni ambientazione in un tratteggio apparentemente “a mano”. Tutto ciò funziona molto bene generando un impatto estetico distinto dai precedenti lavori all’interno dello stesso genere, e sicuramente memorabile in un certo qual modo. Fuso a tutto ciò un level design super disturbante e a tratti surreale, pronto a mescolare continuamente le carte in tavola della logica geometrica cui tutti siamo abituati ad avere a che fare. Ecco quindi lo sperimentalismo suddetto in un approccio estetico-ambientale pronto a condurre ad alcuni colpi d’occhio molto interessanti. Il modo in cui tutto è reso e i progressivi commenti del protagonista in merito a ciò che si affronta tendono a traslare l’intera azione in uno stile “fumettoso”. Un fumetto gotico e splatter quindi, classico fino al midollo ma che comunque vuole dimostrare il proprio carattere.

Kingdom of the Dead

6

Kingdom of the Dead è uno shooter in prima persona dai tratti immediatamente riconoscibili. La nostalgia alla base del progetto è palpabile fin dai primi istanti in un'azione che ricorda i grandi classici del genere senza discostarcisi affatto, almeno dal punto di vista del gameplay. Con l'estetica abbiamo tutt'altro discorso. Qui la classicità degli intenti si fonde con un surrealismo psichedelico pronto a ingannare continuamente qualsivoglia prospettiva. I giochi di luce e ombra contribuiscono senza dubbio a impreziosire l'intera esperienza, traslando ogni elemento da familiare a quasi nuovo in un colpo d'occhio che sorprende di area in area. Il troppo attaccamento al passato però non è mai bene.

Nicholas Massa
Adora i videogiochi e il cinema fin dalla più tenera età e a volte si ritrova a rifletterci su... Forse anche troppo. La scrittura resta un'altra costante della sua vita. Ha pubblicato due romanzi (a vent'anni e venti quattro) cominciando a lavorare sul web con varie realtà editoriali (siti, blog, testate giornalistiche), relazionandosi con un mondo che non ha più abbandonato.

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