Riri Williams è tornata. Dopo l’introduzione in Black Panther: Wakanda Forever, Marvel Studios prova a regalarle uno spazio tutto suo con Ironheart, la nuova serie Disney+ divisa in due blocchi da tre episodi (dal 24 giugno e 1 luglio). E anche se il progetto parte con l’idea di ampliare l’universo narrativo post-Wakanda, lo fa in maniera frettolosa, quasi sbrigativa, come se volesse togliersi subito il peso del passato per concentrarsi su ciò che davvero le interessa: narrare le origini di Riri, e rimettere in piedi un arco narrativo che possa trasformarla in qualcosa di più del semplice “Iron Man in versione giovane”.
E in questo, tutto sommato, Ironheart riesce. Non è una serie rivoluzionaria, né pretende di esserlo. Ma con i suoi sei episodi da 40/50 minuti, riesce a raccontare una storia con un ritmo coerente, ben definita nei suoi personaggi, e inaspettatamente più interessante del previsto.
La corsa di Riri
La serie parte a razzo: bastano pochi minuti per liquidare i legami con il mondo di Black Panther, giusto un paio di battute e una scena d’apertura che riannoda i fili lasciati in sospeso. Dopodiché si riparte da zero. Anzi, si resetta tutto. Ironheart si presenta come una vera e propria nuova origin story, una versione 2.0 della nascita dell’eroina, dove si esplorano lati inediti del personaggio che finora erano rimasti solo accennati.
Riri è sola, confusa, in bilico tra la brillantezza del suo intelletto e il peso di ciò che significa diventare un’eroina. La serie lavora bene su questo aspetto, inserendo comprimari interessanti e portando in scena un antagonista ben costruito. La scrittura, sebbene accelerata, riesce a far emergere i tratti distintivi dei vari personaggi, dando loro abbastanza spazio per funzionare.
Sacha Baron Cohen, in particolare, è una sorpresa: il suo personaggio – di cui evitiamo volutamente spoiler – è ben integrato nel contesto, ha motivazioni credibili e un impatto visivo e narrativo che lascia il segno. Non è solo un comprimario di turno, ma una presenza che aggiunge peso alla storia, anche se in alcuni momenti sembra un po’ sacrificato dalla necessità di far quadrare tutto in pochi episodi.
Una Marvel minore, ma non trascurabile
L’impressione generale è quella di una serie che vorrebbe fare molto, ma è costretta a tagliare lungo i bordi per stare dentro i limiti. 6 episodi sono pochi, soprattutto se si vuole raccontare una crescita, costruire un nuovo antagonista, legarsi al contesto più ampio del MCU e, nel frattempo, portare avanti una trama con colpi di scena e battaglie spettacolari. Nonostante questo, Ironheart riesce a mantenere una sua dignità, grazie soprattutto a una regia solida, una CGI convincente e una protagonista che – pur con qualche sbavatura – funziona.
La CGI, per una serie distribuita in due fasi, è sorprendentemente curata. Non ci sono momenti imbarazzanti, gli effetti speciali sono usati con intelligenza e non sovrastano mai la narrazione. Anzi, sono spesso al servizio della storia, soprattutto nei momenti più emotivi e nei combattimenti finali.
I comprimari sono uno dei punti di forza: che si tratti di amici, nemici o rivali, ogni figura ha una sua funzione precisa e riesce a lasciare il segno, anche se in alcuni casi si ha la sensazione che manchi qualcosa, come se alcune scene fossero state tagliate o accorciate per far quadrare i tempi. Ma la coerenza c’è, e la scrittura – per quanto incalzante – è attenta a non lasciare troppe domande aperte.
Un aspetto che merita attenzione è il modo in cui Ironheart si prende alcune libertà rispetto al materiale originale dei fumetti. Lo fa, però, con criterio e coerenza, adattando la mitologia di Riri Williams a un contesto più adatto al linguaggio audiovisivo del MCU, senza snaturare l’essenza del personaggio. Non è un copia-incolla, ma un lavoro di rielaborazione intelligente, che mantiene il cuore del personaggio pur cambiando dinamiche, origini e alleanze per farle funzionare sul piccolo schermo. In un periodo in cui molte trasposizioni sembrano piegare i fumetti al fanservice o a scelte casuali, vedere una serie che si concede delle modifiche ma lo fa con rispetto e coerenza è un bel segnale.
Verso il futuro
Ironheart non è la serie che salverà il MCU televisivo, questo è evidente. Non ha la forza di Loki né il coraggio di Wandavision, e non prova nemmeno a inseguirli. Fa il suo dovere, racconta una storia precisa, e lo fa con onestà. A tratti può sembrare troppo semplice, forse anche prevedibile, ma non è mai sciatta o svogliata.
Riri Williams, nel suo percorso, riesce comunque a conquistare. E la serie, nel suo piccolo, piazza diversi nodi narrativi che lasciano intendere futuri sviluppi. Alcuni di questi sono interessanti e potrebbero avere risvolti anche fuori dal contesto della serie, magari in film futuri o in crossover. Non tutto viene spiegato fino in fondo, ma è una scelta voluta, che punta a seminare curiosità piuttosto che chiudere ogni discorso.
In un periodo in cui l’universo Marvel fatica a trovare una direzione chiara, Ironheart rappresenta una parentesi piacevole, compatta e ben confezionata. Non è perfetta, ma è fatta con criterio. E in un MCU televisivo spesso confuso, già questo è un piccolo merito.