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Il fenomeno Gamification: dai primi libri game al “caso Twitch”

L’evoluzione nel tempo di questo termine relativamente nuovo

Quando, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, fecero capolino i primi libri-gioco si trattò di una rivoluzione per l’epoca: per la prima volta infatti un’opera narrativa non era solo un passatempo destinato al vorace lettore ma anche un’occasione per il gamer di divenire protagonista di un’avventura che lo vedeva sempre in prima linea nel momento in cui doveva prendere importanti decisioni per la sua sopravvivenza passando da un capitolo all’altro del piccolo volumetto. Il giocatore, armato di carta e penna, lo ricordiamo, impersonava l’eroe di quella specifica ludica collana prescelta (come dimenticare l’epopea di Lupo Solitario!) che tra combattimenti, scelte coraggiose ed enigmi via via più complessi doveva giungere indenne all’ultima pagina del libricino. Circa 30 anni fa questo fenomeno letterario, che appassionava soprattutto i giovanissimi, era di difficile categorizzazione se non altro perché allora non esisteva un termine, oggi così preciso e azzeccato, come gamification. Questo vocabolo, coniato nei primi anni 2000 e precisamente nel 2010 da Jesse Schell, fa riferimento all’utilizzo di elementi ludici in contesti che non hanno a che fare in alcun modo con il gaming. I libri-gioco erano, senza volerlo, il primo esempio di gamification dell’era pre-Internet. Ovviamente con il passare del tempo, e soprattutto con l’avvento della rete, le aziende hanno fatto tesoro di quell’”esperienza offline” e hanno deciso di trasformare il loro business in un affare all’interno del quale il consumatore fosse coinvolto attraverso sorprendenti dinamiche di gioco. Livelli, punti, missioni e sfide sono stati utilizzati ad esempio da realtà produttive come Nike che dava l’opportunità ai suoi utenti di acquistare scarpe in edizione limitata, le Vapormax, solo se avessero corso cinque chilometri ogni domenica per tre settimane utilizzando l’app Nike+.

L’importanza della gamification su Twitch

Non ci stancheremo mai di ripetere come i libri game degli anni ’90 non siano stati altro che il primo concreto esempio di gamification ante litteram di cui all’epoca ignoravamo però l’esistenza. Solo con il trascorrere degli anni e il contemporaneo progredire della tecnologia ci siamo resi conto, a posteriori, di come gli elementi tipici dei giochi venivano via via impiegati da quelle aziende non operanti nel settore ludico ma che vantano un’importante visibilità sul web che necessitava di essere promossa al meglio. E cosa c’era di meglio se non rendere meno “pesanti” ambiti che avevano a che fare con il retail permettendo alla clientela di divertirsi con quello specifico marchio? Di esempi ce ne sarebbero a milioni. A noi piace ricordare almeno uno dei primissimi. Kinder, 30 anni or sono, nascose all’interno delle sue confezioni di barrette di cioccolato una serie di indizi la cui raccolta avrebbe permesso di risolvere un enigma. Una volta svelato l’arcano mistero, era necessario inviare la soluzione a quest’impresa tramite lettera cartacea: in caso fosse stata corretta, il premio finale sarebbe consistito in una casetta in legno brandizzata. Il fenomeno gamification, su cui il sito PokerStars news indaga di continuo in particolare all’interno della sua sezione e-sports, è divenuto talmente importante per il successo di un’azienda, soprattutto in questi ultimi anni, per cui anche una piattaforma di live streaming come Twitch, che vanta attualmente più di 1,2 milioni di utenti connessi contemporaneamente e che viene utilizzata prevalentemente per trasmettere i video dei gamers professionisti, ne fa un uso ormai quotidiano. Questo colosso, lanciato sul mercato il 6 giugno 2011, è solito motivare e incentivare sia i propri streamers sia i propri followers a compiere determinate azioni che possono essere ricompensate attraverso badges che identificano lo status di quegli utenti che si sono distinti più di altri per avere posto in essere iniziative di stampo virtuoso, almeno secondo Twitch stesso. Ne deriva che far parte della “comunità viola”, in continua espansione grazie anche al servizio Prime, e partecipare attivamente alla maggior parte delle iniziative che la riguardano non è solo un buon modo per instaurare solidi legami sociali di tipo virtuale ma anche esaltare la propria individualità attraverso premi/riconoscimenti presi a prestito dall’universo ludico. Un Achievement Symbol, così vengono definiti i simboli identificatori elargiti dalla piattaforma del CEO Emmett Shear, riempie ancor più di senso lo streaming di videogiochi che da puro passatempo attivo/passivo diviene una vera e propria missione (infinita) che tutti vogliono portare a termine. L’onorificenza ci aspetta!

Tesla e gli easter eggs

Quando si parla gamification non si può non menzionare quanto fatto dall’azienda Tesla. Elon Musk, guru della mobilità di ultima generazione grazie alle sue ormai famosissime auto elettriche, ha deciso di realizzare un sistema di infotainment all’interno degli abitacoli delle sue vetture che strizza l’occhio ai videogiochi e in particolare agli easter eggs tipici dei primi capolavori 8 e 16 bit. Alcuni di questi software/firme digitali sono stati abilmente nascosti all’interno del sistema operativo e sono attivabili non certo consultando un libretto di istruzioni!

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