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Ikai – Recensione, una notte tra gli Yokai

Il genere dei survival horror è tra quelli maggiormente ambiti dai giocatori, specie per via del fatto che di titoli veramente memorabili ne escono ormai col contagocce. Ikai, l’horror in prima persona che analizziamo in recensione e che sancisce il debutto dello studio di sviluppo Endflame, ha da subito catalizzato l’attenzione degli addetti ai lavori, sia per l’idea di fondo sia per il palese omaggio ad alcuni grandi classici del passato. Mettendoci nei panni di una sacerdotessa in lotta contro forse demoniache nel Giappone feudale, rimanda infatti a Kuon, un horror di FromSoftware sviluppato nel lontano 2004 su PlayStation, non troppo noto ma non per questo meno interessante.

Ikai sembra riproporre più o meno la stessa formula, mettendoci nei panni di una giovane protagonista costretta ad affrontare entità spettrali ben più temibili di lei. Per poterle sopraffare non serviranno armi da fuoco, bensì carta su cui scrivere, pennello e inchiostro. Il team Endflame, studio di sviluppo composto da soli tre ragazzi di Barcellona, ha quindi preso l’immaginario classico orrorifico giapponese tentando di riproporlo in un videogioco che lasciasse il segno, in un modo o nell’altro, ispirandosi ad alcuni grandi classici.

L’incubo che si fa realtà

La storia di Ikai, come detto in apertura di recensione, è abbastanza classica: Naoko è una una sacerdotessa di un tempio che vive una vita piuttosto tranquilla ed equilibrata, perlomeno fino a che alcune creature demoniache (ovvero gli yokai) decidono di invadere il mondo degli umani, con conseguenze ovviamente poco rassicuranti. La giovane, dopo aver perso conoscenza, scopre infatti che il luogo di fede in cui ha deciso di vivere non è avvolto da quella sacralità che con tanta cura aveva messo in piedi nel corso del tempo.

Da lì in poi prenderà il via la nostra avventura, un’avventura contraddistinta da momenti di orrore piuttosto canonici, nonostante l’impegno degli sviluppatori di proporre qualcosa di consono al contesto. Ikai è suddiviso in alcuni – brevi – capitoli nei quali saremo chiamati a fuggire dalle grinfie di un demone, per poi tentare di esorcizzarlo. Il titolo sviluppato da Endflame è infatti un survival horror estremamente classico, in cui la risoluzione di piccoli enigmi la farà da padrone, il tutto alternato a fasi in cui dovremo semplicemente nasconderci dalle mostruosità che tenteranno in tutti i modi di eliminarci.

L’atmosfera si fonda quindi sulle classiche suggestioni del folclore giapponese, creando un contesto non propriamente terrificante. Uno dei difetti di Ikai è che il gioco non riesce a incutere paura nel giocatore, al di là di qualche sporadico salto dalla sedia più o meno pre-calcolato e buttato lì un po’ alla rinfusa. Le sezioni in cui dovremo nasconderci o seminare il nemico sono infatti quelle maggiormente riuscite dal punto di vista emozionale, strizzando l’occhio a titoli come Clock Tower e simili, in cui le armi da fuoco non sono un’opzione presa in considerazione. La fuga sarà inoltre scandita da ostacoli da superare od oggetti da spostare, inclusi quelli da mettere davanti alle porte per rallentare il nostro inseguitore infernale.

ikai recensione

Purtroppo, però, Ikai non eredita solo i pregi delle vecchie produzioni a cui si ispira, bensì anche i difetti, cosa che in sede di recensione abbiamo tenuto ben in considerazione: il sistema hide and seek è davvero elementare, visto che vi basterà nascondervi dietro a un oggetto per essere praticamente intoccabili, tanto che il demone di turno si stancherà presto di darvi la caccia. Anche alcune sequenze a tempo – da compiere prima di morire senza alcun preavviso – risulteranno essere più frustranti che altro, non essendo quasi mai funzionali al contesto. Maggiormente riuscite invece alcune sessioni in cui Naoko sarà chiamata a dipingere letteralmente alcuni sigilli, utili a esorcizzare oggetti maledetti. Ricalcare con un pennello l’ideogramma che si intravede su carta ci chiamerà a disegnarlo con cura e attenzione, ricordando – alla lontana – il vecchio Okami di Capcom.

Anche i puzzle e i vari enigmi ambientali tradiscono una certa pochezza da parte degli sviluppatori, portando Ikai nel campo del “vorrei ma non posso” incondizionato e costante, per tutta la durata dell’avventura. Anche il backtracking piuttosto asfissiante non aiuta di certo, dovuto anzitutto ai pochi ambienti esplorabili che tenderanno quindi a ripetersi con fastidiosa costanza. La narrazione, inoltre, è ridotta all’osso e non fa nulla per accrescere la tensione, tanto che Naoko sembra muoversi con fin troppa disinvoltura da uno yokai all’altro senza una reale motivazione di fondo, se non quella di ripulire il mondo degli esseri umani dalle forze del male.

In conclusione di recensione, possiamo dire che avendo provato il gioco su console PlayStation 4, tecnicamente ci è apparso assolutamente nella norma, senza chissà quali guizzi creativi o miracoli tecnici da next-gen: tutto in Ikai funziona abbastanza bene, privo di intoppi, ad eccezione forse delle animazioni della protagonista e dei vari demoni, che sembrano uscite dalla passata generazione di console. Nulla di drammatico a dire il vero, visto che in ogni caso i modelli poligonali faranno il loro lavoro nel proporre un quadro grafico tutto sommato buono. Idem il comparto audio, contraddistinto da suoni e rumori misteriosi, sonorità tipicamente nipponiche e un doppiaggio in linea con la produzione.

Ikai

6

Se Kuon di FromSoftware è l'ispirazione, Ikai è il figlio illegittimo. Non andando a scomodare i grandi classici dell'orrore, il survival sviluppato dai ragazzi del piccolo team Endflame è un atto di amore verso alcuni classici titoli del passato, non riuscendo purtroppo ad eguagliarne la qualità. Se Ikai si muove infatti dalle parti della sufficienza risicata, spiace come alcune accortezze in più - specie lato gameplay - avrebbero reso il gioco in questione più che buono, andando magari a saziare quella fame di horror in salsa nipponica che i giocatori provano ormai da troppo tempo.

Marcello Paolillo
Da anni critico del settore, ha scritto e scrive attualmente su diverse testate online dedicate ai videogames e al cinema, passando anche per i fumetti. La carriera di Marcello inizia nel 2003 e da allora non si è più fermato: dopo essersi fatto notare sui primi siti di settore, è arrivato a firmare articoli per le più importanti testate web italiane, oltre che per la carta stampata. Pavo non è il suo nome anagrafico: è il suo nome vero.

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