Hidetaka Miyazaki è un nome che negli ultimi anni ha suscitato scalpore e permesso a molti di noi di vivere momenti emozionanti e terrificanti allo stesso tempo. Il percorso che ha condotto il giovane Hidetaka da semplice tester a capo della FromSoftware è stato narrato talmente tante volte che mi sembra banale evidenziarlo ancora. Cerchiamo invece di capire come è possibile che si gridi al capolavoro ogniqualvolta questo giapponese mette le mani su un titolo.
Storie Silenti, Colpi Sonanti
Caratteristica pressoché unica nei titoli creati da Hidetaka Miyazaki è il modo in cui viene narrata la storia nella quale si muove il giocatore: brandelli di informazioni vengono lasciati come scritti sui libri, oggetti o muri del gioco, permettendo al player di turno di scoprire passo passo il mondo in cui si trova. Come sappiamo l’informazione non era del tutto coerente con se stessa, permettendo al giocatore di “costruirsi” delle risposte, quasi a voler rendere ogni avventura peculiare per chi gioca. Siamo alla volta di Sekiro Shadows Die Twice: qui le regole saranno nettamente diverse, come vi ho già parlato qualche giorno fa, la storia sarà da subito ben delineata e definita per il ninja che andremo a controllare in un Giappone feudale con un pizzico di fantasy che non guasta. Ciò che ha fatto la differenza nei titoli di Miyazaki è stato senza dubbio il gameplay, da qui le sonore mazzate che ogni giocatore ha imparato a prendere o schivare.
Evoluzione
La certezza è che se si parla di un game designer di questo livello, è che il prodotto su cui lavora molto probabilmente avrà delle peculiarità uniche, diverse perfino dal precedente: Demon’s Souls ci ha insegnato come giocare con le invasioni nemiche, come affrontare il sistema dei pattern di attacco nemici e come sopravvivere in un mondo a istanze, Dark Souls ha permesso di espandere i concetti del precedente capitolo, arrivando alla perfezione del titolo con il terzo capitolo nel quale era possibile affrontare l’intero gioco nella maniera che più si preferisce, non necessariamente legati ad un concetto di armatura alta uguale sopravvivenza certa ma permettendo grazie all’utilizzo delle “posizioni”, tipiche per ogni arma, una varietà di gameplay stratificata in ogni oggetto. Bloodborne ha permesso a tutti di vedere come un gameplay basato sul concetto della parata e dello studio “lento” del nemico potesse essere stravolto, lasciando a nudo il giocatore che è costretto a schivare ogni assalto nemico, avendo dalla sua solo l’agilità e le armi trasformabili per creare concatenazioni di attacchi più o meno potenti.
Sekiro stravolgerà ancora questi concetti, limitando il concetto di gioco di ruolo, eliminando la personalizzazione in senso stretto del personaggio principale, favorendo un gameplay più action, capace di mettere in soggezione il giocatore con sfide davvero diverse: se è vero che “less is more” (di meno significa di più) come sostengono in America, Hidetaka Miyazaki è stato in grado ancora una volta di dimostrare come si possa stravolgere se stessi per favorire un evoluzione che torna sui suoi passi, partendo da zero per arrivare a cento e poi tornare indietro, facendoci pensare che si sia caduti in basso per poi scoprire quello che non avevamo pensato. Possiamo sicuramente affermare che l’evoluzione di questo game designer ci ha permesso e ci permetterà di vivere altre ore di divertimento (e imprecazioni varie per le sconfitte sonore che inevitabilmente subiremo), l’appuntamento è per il prossimo anno con un gioco che sulla carta potrebbe far storcere molti nasi ma che sono sicuro sorprenderà molto.