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Ghost: Il Musical – Recensione, la toccante storia di Sam e Molly ora al Sistina

“Oh, my love, my darling
I’ve hungered for your touch
A long, lonely time…”

Cantavano così nel 1965 i Righteous Brothers, quando registrarono la loro versione di Unchained Melody, versione che ad oggi ancora fa sognare milioni di cuori innamorati. La grande popolarità di questo brano è in parte dovuta al film del 1990 con protagonisti Patrick Swayze, Demi Moore e Whoopi Goldberg: sto parlando, ovviamente, di Ghost, cult movie che ottenne una nomination all’Oscar per il miglior film, il miglior montaggio e la miglior colonna sonora. Un film a cui siamo tutti affezionati, da chi l’ha vissuto al cinema a chi l’ha visto solo dopo molti anni dalla sua uscita; uno di quelli intoccabili, perché incarna un desiderio romantico comune.

Nel 2011, anno della première di Ghost – The Musical, eravamo tutti un po’ scettici: noi romantici sognatori che ancora oggi fantastichiamo di storie d’amore impossibili ballando abbracciati a un partner invisibile, eravamo terrorizzati all’idea che qualcuno potesse rovinare la perfezione di quell’immagine; il musical ha infatti sofferto del confronto con il film, come del resto succede a quasi tutte le opere tratte da edizioni precedenti di grande successo, e non sono neanche mancate le critiche negative all’opera stessa.

Scrive Michael Billington sul The Guardian il 19 luglio 2011:

The passion is upstaged by the projections. The romantic songs, by Dave Stewart and Glen Ballard, are strangely forgettable. […] Where the show sparks into life is with the emergence of Oda Mae Brown, the fake medium who acts as Sam’s intermediary with Molly. […] The big number she sings with her acolytes, ‘Are You a Believer?’, makes everything else look tame. […] It is her who provides the show with what it mostly lacks: heart and soul.

“La passione è messa in ombra dagli effetti visivi. Le canzoni romantiche, di Dave Stewart e Glen Ballard, sono inaspettatamente dimenticabili. […] Lo spettacolo prende vita con l’ingresso di Oda Mae Brown, la falsa medium che fa da intermediaria tra Sam e Molly. […] La grande scena in cui canta con i sui accoliti, ‘Are You a Believer? ’ (la sua prima canzone solista, n.d.r.), rende tutto il resto piatto. […] É proprio lei che porta nello show quello che manca di più: cuore e anima.”

ghost il musicalQuesta descrizione ben si adatta anche a ciò che abbiamo visto la sera del 30 gennaio alla prima romana di Ghost – Il Musical al Teatro Sistina, con la regia di Federico Bellone e Chiara Vecchi, la quale si è occupata anche delle coreografie.

La passione e il romanticismo che hanno caratterizzato il film appaiono di rado, i sentimenti tra i protagonisti arrivano al pubblico tramite cliché e stereotipi; possiamo dire quindi che a prescindere dagli errori, dalle imprecisioni e dalle difficoltà nella gestione dello spazio scenico, è evidente una carenza strutturale del testo originale.

Purtroppo tutta la prima parte dello spettacolo è stata carente sotto molteplici punti di vista. Volendo sorvolare sulla errata gestione dei volumi microfonici, come sul primo brano in cui il parlato di Sam (Mirko Ranù) e Carl (Thomas Santu) sovrasta il cantato di Molly (Giulia Sol), si è riscontrata una eccessiva lentezza negli spostamenti degli oggetti di scena: ad esempio uno scatolone che sarebbe dovuto sparire rapidamente è stato palesemente tirato via in ritardo da dietro le quinte dando così l’idea che già ci fosse un fantasma che si aggirava per il palco… peccato che il povero Sam avesse in quel momento ancora almeno altri 15-20 minuti da “vivere”.

Parlando poi del momento della sua dipartita dopo un colpo di pistola, nel momento in cui il fantasma si separa dal corpo si è vista con chiarezza la protagonista femminile tirare a sé il manichino di Sam, probabilmente posizionato male e/o in ritardo e costringendola purtroppo a un gesto che ha decisamente rovinato l’illusione.
Azzeccatissima la decisione di affidare il fantasma dell’ospedale a Ronnie Jones, il quale ha una voce estremamente calda e coinvolgente; purtroppo la sua cadenza inglese ha fatto si che un bel brano, cantato da una bellissima voce, sia poi risultato totalmente incomprensibile.

Molto bello l’ingresso del vagone della metropolitana ed estremamente apprezzato lo slow motion sui movimenti di tutti gli attori quando il fantasma della metro utilizza i suoi poteri su Sam (anche se non sempre l’effetto è risultato fluido e preciso).

Questa catena negativa di dettagli ha portato il pubblico in sala a distrarsi, poiché il tutto risultava freddo e poco coinvolgente: si sentiva spesso un discreto chiacchiericcio di sottofondo. Apprezzatissima quindi l’entrata in scena di Oda Mae Brown (Gloria Enchill) che con la sua energia e carisma ha contagiato il pubblico riportando attenzione e concentrazione verso lo spettacolo; di conseguenza lasciare immediatamente dopo i microfoni accesi dietro le quinte durante il solo cantato di Molly è stato un errore ancora più grave: il frastuono ha indispettito il pubblico. Oltretutto si è visto il via vai degli attori fuori scena a fondo palco, forse a causa di parte della scenografia rimasta in posizione sbagliata.

Il secondo atto è risultato più curato e fluido: non sono comunque mancati gli errori, pur in quantità e frequenza minore rispetto al primo atto. Purtroppo la famosissima scena del tornio non ha avuto lo stesso impatto che invece nel film l’ha resa iconica, solo in minima parte per responsabilità attoriale e maggiormente attribuibile ad una carenza di base della sceneggiatura non compensata dalla scelta registica.

Un plauso alla bravura di Paolo Carta, addetto agli effetti speciali, esperto illusionista che è riuscito a dare colore ad alcuni momenti altrimenti grigi utilizzando tecnologia ma soprattutto trucchi della vecchia scuola dei maestri dell’inganno: bellissimo il momento in cui il fantasma di Orlando si impossessa di Oda Mae Brown, passando letteralmente attraverso di lei per ben due volte con un’illusione talmente ben riuscita da far restare la platea senza fiato. Allo stesso modo è stato apprezzato il momento della morte di Carl: il manichino, che nel caso di Sam è stato posizionato male e/o in ritardo, qui arriva in scena proprio al momento e nella posizione giusta per permettere uno sdoppiamento corpo/fantasma estremamente credibile. Ben riusciti anche i cambi costume in rapida successione di Gloria nel suo secondo brano solista.

Il pubblico è arrivato al finale trascinato da una bella energia e nonostante i difetti e i problemi Ghost – Il Musical è risultato uno spettacolo abbastanza piacevole; a livello vocale e coreografico si è riscontrata un’ottima preparazione tecnica e i ruoli sono stati ben assegnati, il disegno luci è funzionale e gli effetti speciali interessanti. In uno spettacolo estremamente complesso e di difficile gestione come questo, della regia di Bellone si sono apprezzate le proposte ben studiate e funzionali; purtroppo, se nel suo Mary Poppins hanno permesso di raggiungere il prodotto spettacolare che abbiamo visto (grazie anche alla splendida cornice che il Teatro Sistina ha permesso di realizzare), in questo caso invece non sempre sono state supportate da un’adeguata coordinazione tra le varie parti.

Il pubblico entra in sala con un’altissima aspettativa e, anche se in altri spettacoli errori e difetti come quelli elencati possono essere tollerati, nel caso di un titolo così noto e amato il rischio di deludere è subito dietro l’angolo; per questo nel giudizio finale prevale il rammarico nel vedere un primo atto altamente deludente e un secondo in cui si nota un gran potenziale non sfruttato in modo adeguato.

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