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Diablo II: Resurrected – Recensione, un ritorno che non esalta

Activision Blizzard non se la passa assolutamente bene: schiacciata tra una causa legale conclusa con un accordo plurimilionario, persone che hanno abbandonato il board, personaggi cancellati dai propri titoli, e l’insoddisfazione generale per i fan, la situazione è ben lontana dall’essere rosea. Qualche tempo fa, in occasione del Blizzcon venne anche annunciato Diablo Immortals, spin-off della serie che avrebbe dovuto portare il Primo Maligno sul cellulare di tutti i giocatori: ad oggi ancora nulla di fatto, ma sui PC e le console come Sony PlayStation 5, Microsoft Xbox Series X/S (e quelle old-gen delle stesse case di produzione) compare Diablo II: Resurrected, versione rivista e corretta dello storico titolo che analizziamo in recensione, contenente anche il famoso DLC Lords of Destruction che all’epoca fece il suo scalpore, in quanto le espansioni su PC già esistevano da tempo ma era una delle prime volte veniva ampliata anche la storia del titolo, di fatto continuando da dove si era interrotta.

Fermati un attimo e ascolta

Il Viandante misterioso vaga su questa terra e porta con sé un oscuro proposito: nei panni di uno dei personaggi che sceglieremo all’inizio del gioco tra Incantatrice, Negromante, Barbaro, Paladino, Assassina, Amazzone e Druido dovremo inseguire questo individuo come fossimo la sua ombra, senza mai riuscire veramente a prenderlo, ma solo balzando di città in città risolvendo enigmi e sconfiggendo forze del male che erano sopite, ma che stanno via via riprendendo potenza.

Partiremo come accedeva ventun’anni orsono dall’accampamento delle amazzoni, e da lì procederemo salvando Deckard Cain lo storico studioso del mondo di Sanctuarium.

Nulla è cambiato dalla prima volta che mettemmo piede in queste lande eccetto un miglioramento estetico, di conseguenza vi ritroverete con un titolo che già conoscete con qualche dettaglio extra. Se non avete mai giocato la versione originale per motivi anagrafici, godetevi una storia avvincente, raccontata attraverso i magnifici filmati rimessi a nuovo e sconfiggete il male… di nuovo.

Destruction

Diablo II: Resurrected, nel bene e nel male, non aggiunge né sottrae nulla alla formula di venti anni fa: i personaggi soffrono della stamina che si consuma sia correndo che combattendo, l’inventario sarà quasi sempre gonfio di roba e dovrete fare incetta di pergamene dei portali per tornare in città (si, le hearthstone non erano ancora state inventante), senza dimenticare che ogni oggetto raro, leggendario o parte di un set, dovrà essere identificato, al costo di spendere le famose pergamene dell’identificazione.

Esiste un corposo albero delle abilità che ciascuno dei nostri eroi può scegliere come scalare: è diverso per ognuno di loro e determinerà la build che andremo a preformare, ad esempio se vorrete interpretare un Negromante specializzato nelle evocazioni avrete scheletri e golem da evocare, mentre se vorrete cimentarvi nelle maledizioni, utilizzerete un altro albero delle abilità dedicato a quella scuola di appartenenza. Fate attenzione a come inserirete i punteggi: il classico respec – ovvero la possibilità di resettare i punti e ridistribuirli – in Diablo II: Resurrected è come nel precedente, ovvero potrete farlo una sola volta per partita parlando con Kadala nel Campo delle Amazzoni. Non mancheranno una serie di oggetti leggendari ed unici a fare da completamento alla vostra build e dovrete avere ben due set di armi per volta nel vostro inventario per preformare al meglio: insomma il grinding è a portata di mouse o controller, a vostra scelta.

Il peso del tempo

Sebbene Diablo II: Resurrected abbia un comparto storia ben scritto e strutturato, farcito di spettacolari filmati, c’è più di un punto su cui è necessario tornare, comprendendo cosa effettivamente è andato bene e cosa storto. La grafica è migliorata rispetto al passato, dove erano ben visibili i pixel del gioco, ma dopo aver avuto tra le mani titoli del calibro di Diablo III è facile rimanere interdetti, e per forza di cose un comparto grafico come quello presentato con Diablo II: Resurrected potrebbe sembrare un passo indietro. Se facciamo il confronto, Diablo II: Resurrected in questa versione risulta drasticamente vecchio, nonostante il titolo risulti ancora un indiscusso capolavoro (discorso simile a quello che abbiamo fatto con Devil May Cry HD Collection, ecco la recensione).

Vero, siamo di fronte ad una remastered e non a un remake, ma abbiamo visto come in alcuni casi le stesse remastered possono potenziare di parecchio ciò che c’era di buono nei titoli originali, e avendo di fronte un nome come Blizzard forse aspettarsi qualcosa di più non sarebbe stato velleitario. Questo discorso dedicato alla pesantezza e al “vecchio” si sente anche dalle meccaniche, che di fronte ad una generazione come quella odierna potevano essere snellite. Ad esempio la stamina che si consuma durante la corsa, o il dover per forza portarsi dietro decine di pozioni per curarsi o rigenerare il mana (che siate caster o melee non cambia, il mana lo userete lo stesso e questa è davvero una maledizione). Di fronte a ciò c’è anche il limite dell’inventario decisamente ridotto, che enfatizza ancora di più questa pesantezza.

Inoltre, in caso decidiate di cambiare build, potrete farlo solo quando ricomincerete il gioco daccapo, senza poterlo fare durante il corso della partita. Ultimo aspetto decisamente vintage che poteva essere limato, non riguarda propriamente il gameplay: Diablo II: Resurrected ha una lobby per il multiplayer vecchissima, che sfrutta ancora nome della partita, password e quant’altro, con gli inviti al game stra macchinosi per poter accedere. Se lo scopo delle remastered è quello di svecchiare un titolo e renderlo alla portata dei giocatori moderni, come avrete inteso durante la recensione, Diablo II: Resurrected ci riesce solo a metà, con una resa grafica di certo migliorata, ma che vede il resto della questione ancorato al passato. Un vero peccato.

Diablo II: Resurrected

6

Diablo II: Resurrected non riesce a centrare il bersaglio in modo definitivo, o almeno non quanto avremmo voluto. Il titolo risulta limato dal punto di vista grafico, riproponendo un grande capolavoro al pubblico odierno, senza però snellire le meccaniche nei punti giusti che lo rendano il giusto compromesso tra vecchio e nuovo. Un'occasione in parte mancata, che farà sì la gioia degli amanti del gioco originale, che lo conoscono come le loro tasche, ma che per la sua identità rischia di scoraggiare quasi subito i giocatori di questa generazione videoludica.

Tiziano Sbrozzi
Lusso, stile e visione: gli elementi che servono per creare una versione esterna di se. Tiziano crede fortemente che l'abito faccia il monaco, che la persona si definisca non solo dalle azioni ma dalle scelte che compie. Saper scegliere è un'arte fine che va coltivata.

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