Daymare: 1994 Sandcastle – Provata la demo dell’horror di Invader Games

Daymare: 1994 Sandcastle esce non proprio benissimo da questa demo, che avrebbe dovuto mostrarci il meglio del gioco, ma così non è stato.

Tiziano Sbrozzi
Di Tiziano Sbrozzi - Senior Editor Impressioni Lettura da 6 minuti

Daymare: 1998 fu un po’ il punto di svolta per tutti gli appassionati del gaming italiano, e non solo del panorama indie: la produzione di Invader Studios ha posto le basi per la creazione di prodotti nuovi, con più budget e con tanta passione alle spalle, senza dimenticarci qualche sbavatura qua e là (perché si sa che qualsiasi team di lavoro deve avere dalla sua una squadra che sia rodata, e senza la pratica non si va da nessuna parte).

Con questi presupposti arriverà Daymare: 1994 Sandcastle che, prendendo a piene mani il progetto nato prima di lui, ma concettualmente dopo, narrerà il prequel degli eventi che hanno visto protagonista l’agente della H.A.D.E.S. alle prese con mostri infausti e nemici sovrannaturali d’ogni sorta. Si tratta di un Back to Back, o del semplice sfruttamento di un titolo che tutto sommato ha venduto abbastanza e non è cascato nel dimenticatoio? Vediamolo, con il provato del gioco che si rifà all’ultima demo disponibile.

Storia che vince non si cambia

Nei panni di Reyes verrete catapultati a quattro anni prima degli eventi narrati nel gioco precedente: stessa situazione, armi differenti e minacce non molto dissimili, alla caccia dell’ultimo punto di salvataggio. Nella rappresentazione di quella che sembra essere una base militare in disuso, non molto diversa da quella che immaginiamo come l’Area 51, affronteremo “alieni”… o per lo meno quelli che sembrano alieni all’effettivo, capaci di falciare militari e corpi scelti di questi ultimi con poco sforzo.

Dispersi in un turbinio di orrore, dovremo risolvere puzzle ambientali, interagire con gli elementi che troveremo nelle stanze, e trovare di volta in volta la soluzione, il tutto passando per determinati punti di backtracking fino all’uscita da situazioni al limite dell’ordinario. Lo stile si rifà a quello dei Resident Evil, con una narrazione a “cipolla” ed elementi che si scoprono man mano che si procede con la storia del titolo.

Dejà-Vu del passato

Sebbene il team di Invader Games abbia messo in discussione sé stesso e le sue ispirazioni ruolistiche in stile Resident Evil 2, è indubbio che il team non abbia posto l’accento del gioco sulla resa estetica: poligoni ed elementi del protagonista sono buoni, anche per chi è abituato alle grandi produzioni del 2023; sono ottimi anche i nemici, dotati di una discreta IA (ma non preoccupatevi, non sono certo dei laureati presso la Legione Straniera), con struttura e design peculiari. Quello che stona fortemente sono i fondali e le pareti dell’area, troppo spesso tutti uguali, privi di carattere e semplicemente, spogli di poligoni.

Le armi non sono proprio il punto forte del gioco ma la colpa potremmo darla ai nemici che ci si sono sono parati contro: due tipologie di zombie/non morti elettrificati, distinguibili per altro solo grazie al “colore della pelle” che variava da rosso a blu, sfortunatamente nessuno dei due “coriaceo”, per cui il valore delle armi viene meno al momento, ma siamo certi che sia un problema di demo e che probabilmente il team avrà lavorato a ben più ostici avversari.

A questo va aggiunta una componente di crescita lineare, quasi scriptata, che sebbene abbia fatto in passato la fortuna di molte serie, nel 2023 ci saremmo aspettati di più, molto di più a dirla tutta: puzzle troppo semplici, livello di sfida nella ricerca o negli enigmi da elementari, e un senso di vuoto incolmabile. Perché se da un lato ho nemici insulsi, dall’altro un sistema di puzzle semplicistico, viene meno il concetto di sfida, a cui va aggiunto un “superpotere” non da poco, ovvero la possibilità di congelare il nemico e renderlo passibile di colpi speciali che lo manderanno in pezzi molto facilmente; un potere troppo grande e troppo facilmente replicabile.

Incubo 2.0

Daymare: 1994 Sandcastle esce distrutto dalla demo, sebbene ci rendiamo conto che la breve dimostrazione di un gioco destinato ad essere molto più grande possa non essere il “meglio di quello che ha da offrire”. Ma è pur vero che, se fossimo in una situazione differente, probabilmente nei panni di Invader Games avremmo azzardato a far girare il nostro “best of” invece di questi quaranta minuti (o poco più) di vuoto siderale che è stata la demo. I difetti di produzione del predecessore ci sono tutti, e la build attuale non si discosta molto da quella del passato (la trovate qui). C’è ampio spazio per il miglioramento e vedremo cosa accadrà in quel di Invader Games.

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Senior Editor
Lusso, stile e visione: gli elementi che servono per creare una versione esterna di se. Tiziano crede fortemente che l'abito faccia il monaco, che la persona si definisca non solo dalle azioni ma dalle scelte che compie. Saper scegliere è un'arte fine che va coltivata.