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Bussano alla Porta – Recensione, la fine del mondo secondo Shyamalan

Negli ultimi anni uno dei temi più gettonati in tutti i media è stato quello della “scelta“. Molti registi, scrittori e sceneggiatori dai film alle serie tv, dai libri fino a passare anche dai videogiochi hanno voluto mettere alla prova i loro personaggi – e perché no, anche loro stessi – ponendoli costantemente davanti a bivi che avrebbero per sempre cambiato la loro vita, che siano scelte morali, fisiche o basate sul proprio destino. Con la sua ultima fatica Bussano alla Porta, che analizzeremo in questa nostra recensione, il regista M. Night Shyamalan prende questo macrotema e decide di dargli la sua visione originale, facendo sì che le scelte dei nostri protagonisti potrebbero salvare l’umanità o condannarla.

La fine del mondo tra le mani

Dopo il mezzo passo falso fatto con Old, M. Night Shyamalan decide di tornare alla regia con un altro adattamento, questa volta del libro horror “La casa alla fine del mondo” di Paul Tremblay. Dopo dei titoli di testa deliziosamente creati come quelli dei lungometraggi degli anni Cinquanta e Sessanta, Bussano alla Porta ci teletrasporta fin da subito nella sua ambientazione. Una piccola casa in mezzo al bosco sarà infatti la sola e unica location di tutto il film, dando alla pellicola quasi una tinta teatrale come fece per esempio Quentin Tarantino con The Hateful Eight o più recentemente Florian Zeller in The Father.

Dopo una veloce introduzione della famiglia protagonista del film, composta dalla piccola Wenling e i suoi genitori Eric e Andrew, la quiete iniziale viene velocemente interrotta da un gruppo di quattro persone che piano piano si avvicinano al piccolo cottage dove la giovane coppia pensava di passare una tranquilla vacanza insieme alla loro figlia… cosa che purtroppo non si rivelerà affatto tale. Quel misterioso gruppo di persone spezzerà la tranquillità nelle vite dei nostri protagonisti bussando alla porta di questa casetta di legno, spiegando come il loro compito – seppur difficile – sarà necessario per il destino dell’umanità. Da questo istante ha dunque inizio un conto alla rovescia verso la fine del mondo, che solo loro potranno scegliere se fermare o meno, sacrificando cosa c’è di più caro nelle loro vite.

Destino e scelta

Fin da subito possiamo notare come Shyamalan per questo film abbia optato per una regia molto più rilassata e per niente frenetica, nonostante le premesse apocalittiche del film, dando quindi una sensazione di spaesamento, mistero e angoscia ancora più pressanti. Quasi mai le persone sono centrali nelle inquadrature e la camera preferisce seguire le azioni e le conseguenze di queste al posto di chi le ha compiute. Questo permetterà ancora di più allo spettatore di percepire una sorta di deumanizzazione del gruppo dei quattro portatori di sciagura, che però non perderanno mai l’occasione di ricordare che ciò che stanno facendo è contro la loro natura, ma che si tratta di un compito per cui sono stati scelti e che deve essere attuato.

Parlando dei personaggi arriviamo a quello che forse è il punto più debole del film: la scrittura. In questo Bussano alla Porta, M. Night Shyamalan si discosta da uno dei suoi stilemi più noti, optando per una narrazione più lineare che in questa recensione possiamo confermare essere una scelta riuscita a metà. Per tutto il film aleggia sul gruppo dei quattro presunti assassini il perché siano stati scelti proprio loro e come mai devono quasi costringere proprio la famiglia protagonista a decidere di sacrificarsi per salvare l’umanità.

Tutto questo mistero si districa bene per i primi due atti del film, che tutto sommato riescono a tenere l’attenzione dello spettatore ben fissa sullo schermo. Il castello di carte di Shyamalan cade però in frantumi verso la fine del film, quando tutto d’un tratto uno dei personaggi protagonisti che fino a quel momento era saldo sulle sue credenze di punto in bianco ha un’illuminazione e capisce improvvisamente ogni cosa, sputandola in faccia al pubblico nell’arco di un paio di battute. Tutto questo sicuramente ha lasciato un po’ l’amaro in bocca, con un epilogo poco carico e quasi sprecato. Un vero peccato.

Costretti da una volontà superiore

Per quanto riguarda le prove attoriali, finalmente abbiamo avuto l’occasione di vedere un Dave Bautista (Leonard) fuori dal classico cerchio di ruoli a cui ci ha abituato, con una parte decisamente più drammatica e di primo piano. Bautista riesce con la sua performance a farci capire la dicotomia delle azioni che lui e il suo gruppo saranno costretti a fare già dalla sua primissima apparizione, quando incontra Wenling nel giardino fuori dal cottage e la aiuta a catturare una cavalletta: lui prenderà l’insetto con cura, senza spaventarlo, e lo imprigionerà nel barattolo insieme agli altri due non per sua volontà, ma perché gli è stato chiesto da qualcun altro. In questo gruppo ci teniamo inoltre a fare un plauso anche alle interpretazioni degli altri compagni di Bautista, in particolare un ottimo Rupert Grint (Redmond) che seppur in un ruolo secondario è riuscito a dare il meglio di sé.

Passando alla famiglia protagonista, Jonathan Groff (Andrew) e Ben Aldridge (Eric) riescono a farci capire il terrore che provano e l’angoscia di assistere alla disfatta dell’umanità davanti ai loro occhi per colpa delle loro scelte. Tutto ciò però, come già detto in questa nostra recensione, si perde decisamente nel finale, relegando Bussano alla Porta come un’opera nella media all’interno della filmografia del regista indiano-americano.

In conclusione, possiamo notare come una fotografia decisamente sottotono non abbia per nulla giovato al progetto – se non in qualche guizzo  molto sporadico centellinato durante tutto il film – insieme a una colonna sonora non particolarmente ispirata o memorabile, che non riescono a incorniciare la splendida scenografia nella maniera che meriterebbe.

Bussano alla Porta

7

Bussano alla Porta può essere considerato un progetto riuscito a metà: da una parte vediamo delle scelte registiche e scenografiche decisamente riuscite, accompagnate dall'ottima interpretazione dei personaggi che ne fanno parte. D'altro canto, la scrittura ancora una volta inciampa su se stessa, nonostante questa volta si tratti di un adattamento. Questa nuova pellicola di M. Night Shyamalan non spiccherà nella sua filmografia, ma sicuramente è una boccata d'aria fresca sia per quanto riguarda il suo stile che per il modo in cui il regista indiano-americano mette in scena le sue idee.

Mauro Landriscina
Nato nel 1997 e al momento studente di Cinema, fin da piccolo si appassiona di videogiochi grazie al Game Boy Color del fratello maggiore. Pensa troppo al futuro e poco al presente, spesso perdendosi nei suoi pensieri e andando quindi a sbattere su qualche palo per strada. Il suo sogno nel cassetto è quello di dirigere un film d'animazione.

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