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Bloodshore – Recensione, il battle royale dei dipendenti da social

Bloodshore fa parte del genere degli FMV (full motion video), meglio conosciuti nel nostro paese come film interattivi con scelte multiple, ed è un titolo dalle qualità altalenanti. La storia è incentrata sul tema purtroppo estremamente abusato delle battle royale, ma allo stesso tempo offre anche alcune chiavi di lettura interessanti sulla nostra società. Andiamo quindi a scoprire insieme quali sono i punti di forza e di debolezza di Bloodshore, in questa nostra recensione. Prima di continuare in questo articolo, però, dobbiamo fare un’importante premessa. Bloodshore è un FMV e di conseguenza questa recensione sarà impostata con una strutturazione diversa rispetto a quelle per i normali videogame, essendo per l’appunto molto più vicino al genere dei film che dei videogiochi. Cominciamo quindi parlando della componente che ai nostri occhi è la più importante, vale a dire la narrativa. Cercheremo di non andare troppo a fondo nelle vicende per evitare di fare spoiler ma qualche riferimento sarà comunque necessario.

Visto e rivisto, ma ci sono spunti interessanti

Bloodshore è ambientato in un universo deviato e parallelo al nostro, nel quale l’umanità è ormai alla mercé dei social network e dei reality show, al punto da essere totalmente galvanizzata dalla morte e dai massacri visti in diretta in questo moderno Colosseo dei giorni nostri. Lo scenario presentato è similare a quello di film quali Gamer del 2009 con Gerard Buttler o Hunger Games, e vede i partecipanti uccidersi a vicenda per ottenere un enorme premio in denaro. Già qui le assonanze con Squid Game sono evidenti, sia nel bene che nel male. I concorrenti in questo caso sono però per la gran parte civili di una certa fama, dagli attori, agli streamer, fino ai survival blogger. Tutte queste persone hanno inoltre in comune il fatto di essere nella fase calante della propria carriera, e sono decisi quindi a riscattarsi anche al prezzo più alto. Fra loro vi sono anche social celebrity decise a guadagnare della fama anche solo partecipando alle prime fasi del gioco credendo di potersi poi ritirare in tempo e che sono tragicamente impreparate per questo tipo di spettacolo, dando quindi un tono drammatico alle vicende. Tra i concorrenti vi sono infine anche dei condannati a morte per reati gravissimi come l’omicidio e le violenze sessuali, e che agli occhi dei produttori dello show dovrebbero aumentare il grado di brutalità e di spettacolo del tutto, così da compiacere al meglio questa umanità completamente traviata dal sangue e dalla crudeltà.

In questo Hunger Games degli influencer al crepuscolo, il giocatore impersonerà Nick, un ex attore sex symbol negli anni passati, reclutato per partecipare allo show e completare una misteriosa missione. In base alle scelte del giocatore, Nick avrà o meno una certa importanza nel creare un team di concorrenti che possano momentaneamente allearsi fra loro per sopravvivere nei primi turni delle battaglie. Sta quindi al player scegliere che personalità instillare in Nick e come gestire il gruppo di combattenti. Inoltre, al pari di Fortnite e di altri battle royale, i survival dovranno trovare armi, munizioni e protezioni dentro delle scatole per così prepararsi alla battaglia che li porterà sempre più verso il centro di un’isola scelta dai produttori. La storia, quindi, prende il via da queste premesse e va a toccare argomenti molto battuti come i “complotti super segreti”. La trama, anche se non originalissima dal punto di vista narrativo, riesce come già accennato a presentare anche interessanti chiavi di lettura; infatti, parlando con i protagonisti e interagendo con il gruppo, si può andare più a fondo in una società malata e ricca di contraddizioni. I candidati sono infatti quasi tutti persone “per bene” alle quali però il rapidissimo mondo di internet ha dato una fama immensa, per poi toglierla con la stessa velocità con cui gliel’aveva conferita, spingendoli infine alla violenza estrema poiché delusi dalla propria vita, considerata come assolutamente mediocre.

Bloodshore

Gameplay ridotto all’osso in Bloodshore

Come in quasi tutti gli FMV, anche Bloodshore ha un gameplay e una forma d’interattività che si è mostrata come sostanzialmente irrisoria in questa fase di recensione, e va comunque bene.  Il gioco è infatti un film con attori in carne e ossa nel quale però a volte il giocatore può compiere delle scelte, fra un limitato numero di possibili variabili. Questo fattore rende l’interattività del prodotto come ridotta ai minimi termini possibili e ne deriva che il titolo potrebbe fare la gioia solo di un determinato tipo di pubblico. Detto questo, il titolo presenta anche un sistema di statistiche in tempo reale che permette di tenere traccia delle nostre scelte in base alle reazioni della squadra, del pubblico e anche del potenziale amore che potrebbe nascere con i partecipanti. Questo sistema si è rilevato non sempre facilissimo da inquadrare in quanto basato su concetti molto aleatori, ed è facile fare delle montagne russe di consensi e dissensi, anche se alcune scelte hanno comunque delle conseguenze determinanti nella storia.

 

A proposito di bivi narrativi, il gioco per sua natura è un film con numerose opzioni e scene costruite per mostrare degli esiti diversi in base al comportamento del protagonista. Tuttavia, la linea narrativa è sostanzialmente quasi univoca, e nonostante ci siano molte ramificazioni e finali possibili, ci saranno anche dei visibili colli di bottiglia, con momenti che si ripeteranno a oltranza. Questo fattore è abbastanza comune nel genere degli FMV e in generale di quasi ogni gioco con scelte multiple, visto che nella filosofia in-game non è tanto importante il dove vada a parare la storia ma più il come si raggiunga un determinato obiettivo. Starà quindi al player decidere se far macchiare Nick di omicidio e usare approcci diretti, proseguire le vicende in chiave più pacifica o stealth, o ancora se farsi amare dal pubblico e farsi odiare dai compagni. In sommatoria, la varietà delle situazioni in base alle scelte, per quanto non sia molto vasta, è comunque funzionale al genere del prodotto.

Bloodshore

Effetti e recitazione solo sufficienti

Bloodshore è un film interattivo e di conseguenza andremo a discutere in questa recensione sul lato tecnico prendendo come riferimento la recitazione degli attori e gli effetti speciali. Ci duole dire che entrambi gli elementi raggiungono la sufficienza senza però andare troppo oltre. Questo a causa di alcuni effetti speciali e di un gore non sempre ben realizzato che porta estremi opposti esagerati. Ad esempio, è possibile vedere gente trasformata in brandelli di sangue e carne per colpa delle mine, mentre in altri casi ci sono appena un paio di escoriazioni sui corpi di concorrenti caduti da 5000 metri d’altezza. Insomma, manca una certa coerenza negli effetti speciali, oltre a una realizzazione non sempre perfetta degli spari e degli effetti dovuti a esplosioni e combattimenti. Questa alternanza di opposti si ritrova anche nella recitazione del cast, con alcune ottime e viscerali interpretazioni affiancate da altre decisamente poco interessanti, fino a risultare quasi caricaturali. Non siamo dinanzi a un fallimento su tutta la linea, ma a nostro parere i ragazzi di Wales Interactive potevano aspirare a qualcosa in più su entrambi i fronti.

 

Bloodshore

6.8

Bloodshore è un FMV di qualità media, ha una storia ricca di stereotipi e con qualche cliché di troppo, ma offre anche alcuni spunti di riflessione interessanti per quanto riguarda le motivazioni dei controversi protagonisti. Buono il numero di scelte disponibili e di finali, per quanto siano presenti comunque numerosi colli di bottiglia nella narrazione, senza contare poi un lavoro generale per recitazione ed effetti speciali non esattamente al top. Il risultato è un prodotto nel complesso più che sufficiente ma che non riesce ad elevarsi più del dovuto. Resta comunque un titolo consigliato (con qualche riserva) a tutti gli appassionati del genere specifico degli FMV e delle avventure interattive con scelte multiple.

Samuel Raciti
Videogiocatore incallito, lavora anche come Amministratore condominiale in real life. Questa professione gli ha insegnato, fra le altre cose, l’arte della pazienza e della mediazione, così scarsamente presenti nel mondo di Internet come in quello delle riunioni condominiali. Mal sopporta gli hater seriali, ma apprezza chi in buona fede si impegna per far valere il proprio pensiero e la propria visione del mondo dei videogiochi.

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