Sarà per le sue origini franco spagnole che Microids e Pendulo Studios hanno deciso di impegnarsi nella rischiosa avventura di creare un videogioco su Blacksad, noto personaggio dei fumetti, ma al di là di un buon nome alle spalle ci sarebbe di certo stato bisogno di ancora più tempo e dedizione. Lo sviluppo di Blacksad: Under the Skin è stato di per sé travagliato, ma forse aspettare qualche mese in più avrebbe giovato maggiormente ad un titolo che per quanto narrativamente intrigante, si è rivelato molto povero sul piano ludico e catastrofico sul piano tecnico. Prima di procedere nel dettaglio, è importante sottolineare che con qualche accortezza in più – e una tonnellata di ore di beta testing – molto probabilmente il risultato sarebbe stato migliore, anche per quanto riguarda il ritmo e l’alternanza delle varie fasi.
Balck e Noir
La storia di Blacksad: Under the Skin si svolge chiaramente in una New York in puro stile noir, come esattamente vogliono personaggio e storie a fumetti. Tuttavia non si tratta del mondo come lo conosciamo, perché in questo tutti gli abitanti sono animali antropomorfi (con fattezze in un certo senso “umane”). Questo setting è molto particolare, ed apre spiragli narrativi in ogni dove. Quello del gioco è, come da copione, un caso da risolvere. A morire è stato il proprietario di una palestra di boxe, Joe dunn, una lince molto famosa nel settore e veterano di guerra (ma anche musicista all’occorrenza!). Impiccato con una corda al centro del ring, tutto lascia pensare ad un suicidio… ma le cose non sono mai come sembrano, vero? Ed è proprio qui che entra in gioco John Blacksad, ingaggiato dalla stessa figlia di Dunn sotto consiglio di uno dei pugili della palestra, amico di John. Da qui in poi inizia un’interessante indagine, che ci vedrà scavare molto più a fondo di quanto ci si possa aspettare a primo acchitto, con i più oscuri segreti della città e del settore sportivo che verranno inesorabilmente a galla.
Anche se a fare da sfondo per tutte le 10 ore di gioco ci sarà chiaramente lo sport, non mancheranno anche temi più profondi e impegnativi, trattati con rispetto in più di un’occasione: ad esempio avrete a che fare con il razzismo, tradimenti, problemi familiari, la salute, ma anche traffici clandestini, e tutto ciò che vi si parerà davanti vi metterà di fronte a dei dilemmi morali. Le nostre azioni, i nostri riflessi, il nostro modo di rispondere, e tutte le scelte legate alla moralità e ai soldi saranno riassunte in un’apposita sezione chiamata “il mio Blacksad”, dove potrete curiosare per controllare che tipo di gattone siete stati.
Graficamente gradevole e musicalmente coinvolgente, l’atmosfera creata dal gioco riesce a regalare un particolare feeling. Non arriviamo alla perfezione con l’essenza “noir”, ma tutto sommato la personalità del protagonista ed il background della Grande Mela riescono a dare un ottimo contributo.
Gameplay…
Il gameplay di Blacksad è quello che, in un certo senso, ci possiamo aspettare da una qualsiasi avventura grafica in terza persona. I punti attivi con i quali si può interagire saranno visibili solamente una volta che ci si trova vicino, che siano una lettura o un oggetto da raccogliere. Ogni dialogo ed ogni indizio verrà appuntato dal nostro gattone detective in un taccuino, che verrà costantemente aggiornato con le informazioni che scopriremo su ogni sospettato e/o personaggio. Non è presente un inventario, dato che i pochissimi oggetti che vi serviranno saranno raccolti e utilizzati automaticamente quando si presenterà l’occasione esatta.
I puzzle che il gioco ci mette di fronte sono fondamentalmente mentali, mai ambientali, e risolvibili semplicemente agendo o parlando coi vari personaggi. Molte delle parti del gioco si riveleranno all’effettivo molto facili, con le intuizioni che verranno snocciolate anche troppo facilmente da voi stessi (a volte anticipando lo stesso Blacksad). Nel gioco sarà anche possibile morire, magari se non avete risposto in tempo ad un QTE o avete compiuto un’azione sbagliata: in quel caso il gioco riprenderà da pochi momenti prima, rendendo quasi inutile questa feature (anzi, molto tediosa in un paio di casi).
Tutte le informazioni clou che raccoglieremo andranno “nella testa” di John, e da lì, quando ci verrà segnalato, potremo effettuare delle deduzioni, dato che abbiamo raccolto sufficienti indizi. Questo però comporta inevitabilmente che, nel caso in cui tale link non sia chiaro al giocatore, il tutto possa risolversi con un chiaro e limpido try & error. Cercando di arricchire il già buon background del gioco (il comparto narrativo e la trama sono comunque lavori ben riusciti), sono state inserite 100 figurine di sportivi nascoste nei posti più disparati, una serie di graditi collezionabili che tuttavia non hanno un peso sui risultati di gioco.
Ciò che però dà il colpo di grazia, sono le fasi di spostamento: il nostro gattone, mentre lo controlliamo, sembra tutt’altro che un agile gatto, impantanandosi ad ogni angolo, con controlli generali incerti e, peggio di qualsiasi altra cosa, senza la possibilità di camminare velocemente, costringendoci anche a lunghi tratti di camminata ad una lentezza disarmante.
…e Bugplay
Tutto ciò che c’è di buono nel comparto narrativo di Blacksad: Under the Skin però viene preso di peso e massacrato a suon di bug, glitch, e problemi tecnici vari. Il problema più grande è che questi vanno anche ad intaccare molto l’esperienza di gioco, a volte costringendo addirittura il giocatore a rigiocare intere scene (soprattutto se si interrompe il gioco a metà di una di esse). Oltre alla dozzina di problemi legati al già citato movimento, ci sono bizze dovute ai QTE, ma anche più sul lato puramente tecnico, come il caricamento delle texture nei cambi di scena, lentissimo, la grafica dei tasti che rimane sullo schermo dopo aver scassinato una porta (impedendo addirittura di camminare), muri invisibili che compaiono su una porta aperta impedendoci di entrare, o punti con cui interagire che, semplicemente, non si attivano. Molti altri problemi si sono presentati durante la prova, e non abbiamo neanche preso nota di tutti. Veramente un peccato.