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Altered Carbon 2 – Recensione, prosegue la storia di Takeshi Kovacs su Netflix

La storia di Richard K. Morgan, scritta in tre fantastici libri sci-fi, ci porta alla scoperta di un mondo particolare, tanto vicino al nostro quanto fantastico per il concetto che racconta. L’umanità ha scoperto un materiale alieno per costruire le pile, dispositivi capaci di contenere una persona trasformando il corpo umano in un semplice contenitore, una custodia. Il tutto ruota attorno a Takeshi Kovacs, un personaggio molto sfaccettato che abbiamo avuto modo di scoprire in parte nella prima stagione, ma che in questa seconda prende le “redini” con la sua storia. Cambia anche la custodia stavolta, che nella prima stagione vedeva Joel Kinnaman (Rick Flag in Suicide Squad) essere il rinomato Spedi, e invece in quest’occasione avrà le fattezze di Anthony Mackie (Falcon nel MCU).

Dov’eravamo…

Nella prima serie abbiamo avuto modo di conoscere Kovacs attraverso la sua missione: essa consisteva nel dover trovare l’assassino di Bancroft (ovviamente vivo per poterlo assoldare in quanto Mat e quindi capace di utilizzare una tecnologia molto costosa per salvare un backup della sua Pila su server). Grazie a questo “motore” riusciamo, avanzando nella trama, a vedere il passato di Takeshi Kovacs, la sua esperienza come Pretoriano e il passaggio poi nel gruppo rivoluzionario di Quellcrist Falconer, evento che lo ha reso uno Spedi, guerriero addestrato sia nel corpo che nello spirito (capace quindi di utilizzare abilità mentali superiori). Superati i 10 episodi di questa prima stagione, la seconda si apre rapidamente e in solo 8 puntate pone lo spettatore davanti a un’intreccio totalmente diverso. Il mistero stavolta si affievolisce, ponendo Kovacs non più in un insieme di segreti da dover dipanare per raggiungere il suo obiettivo, bensì in una strada più lineare.

L’incipit della trama è molto simile, ma subito dopo la prima puntata la storia orizzontale lascia gran parte dello spazio a quella del protagonista e alla sua ricerca di Quellcrist: questo va ad influire anche nello stile del racconto, ora meno basato sul genere thriller e più orientato sullo sci-fi. Grande nota di demerito quindi il modo in cui tutto ciò che era stato fatto di buono nella prima serie qui viene parzialmente dimenticato, probabilmente per favorire l’intreccio generale: se infatti potrete trovare comunque appassionante l’avanzare della serie, gli 8 episodi sembrano correre per dover raccontare dei contenuti che, posti in modo diverso, sarebbero risultati più originali.

La seconda stagione, ambientata dopo la prima, è basata sul terzo libro ma non si limita ad esserne una semplice copia: al contrario, adatta alcuni concetti variandone i dettagli: cambiano allora alcuni comprimari, così come il deus ex machina del tutto e il modo in cui vengono scoperte le rivelazioni più interessanti. Quest’ultimo dettaglio, infatti, porta qualche reminescenza del metodo d’indagine visto con la prima serie, ma rimane pieno di colpi di scena banali e facilmente intuibili. Non viene intaccata da questa scelta l’anima noir della serie, che torna a popolare il nome degli episodi oltre che le ambientazioni, stavolta meno sfavillanti e colorate come Blade Runner e più realistiche (scelta dovuta anche al cambio d’ambientazione).

Il cambiamento è bene (?)

Se infatti la prima serie era stata ambientata a Bay City, una città molto vicina all’immaginario visto nel film con Harrison Ford, Harlan’s World è invece più frammentata: se il lusso vive di scintillanti palazzi bianchi e futuristici, il ghetto invece si ritrova in location vicine alla Gotham di Batman. Il modo in cui Anthony Mackie prende il controllo di Kovacs è vicino all’idea generale del personaggio, esaltandone i dettagli significativi e facendo sparire subito il mal di custodia che proverete se avete amato Kinnaman. I comprimari si caratterizzano in modo decisamente diverso dai precedenti, e la connessione con la precedente serie è quasi whoviana, facendo capire che, in fin dei conti, Kovacs è sempre Kovacs. Ovviamente non parliamo di una scienza perfetta, e per questo – forse a causa della diversità di trama o proprio per la differenza di attore – stavolta Takeshi sembra più emozionale (seppur di poco). Purtroppo non è molto credibile il villain di questa stagione, ma tutta la mancanza è coperta dalla magnifica interpretazione di alcuni personaggi ricorrenti, che compaiono in un paio d’episodi ma che danno prova di elevate abilità attoriali. Magnifico invece il Pretoriano Carrera, alla pari del personaggio Scavo, aggiunta gradita al cast. Finalmente arriva nel team anche Trepp, personaggio che qui viene interpretato da una fantastica Simone Missick (Trish in Luke Cage).

Una cosa che forse potrà farvi storcere il naso riguarda l’essenza stessa di uno Spedi e la magnifica azione vista precedentemente. Approfondendo la prima, purtroppo in questa stagione le abilità degli Spedi vengono prese decisamente sottogamba: rimane impressa la differenza di vedere un Kovacs capace di vedere le sagome dei soldati dietro ad un muro e poi riscoprirlo capace di utilizzare l’intuito Spedi solo per delle deduzioni sagaci ma per nulla soprannaturali. La scelta, forse, è stata per bilanciare la trama, ma l’idea di avere un guerriero simil-Jedi era allettante. Per il resto, l’azione è stata dimezzata in favore di dialoghi di vario genere: sebbene questo non rovini l’atmosfera, e anzi riesca a dare più spessore ai personaggi, è facile ricordarsi come le scene di combattimento con Kinnaman fossero sprezzanti e adrenaliniche, mentre Mackie si trova a combattere molto di meno.

Tutto sommato – vuoi per la sua anima “seriale” – è stato però gradevole scoprire un nuovo lato di questa serie: così come nei libri, infatti, la trama cambia da stagione a stagione e porta sempre qualcosa di nuovo. Per questo, soprattutto, è da comprendere che stavolta non avremo davanti una corsa contro il tempo e le informazioni dello Spedi, bensì una ricerca di se stesso e di ciò che vuole. Purtroppo, farlo in 8 episodi, con una trama così ricca di sfaccettature, è stato un errore: le ultime due puntate infatti sembrano frettolose, e il climax viene completamente annullato dalla velocità con cui si raggiunge e il modo in cui si esaurisce.

Altered Carbon 2

7

Con un nuovo protagonista e un nuovo modus operandi, Altered Carbon 2 si allontana un po' dall'anima misteriosa della prima serie e propone un approccio più lineare e diretto. La missione di Kovacs ora è personale, e questo rivelerà un nuovo lato del combattente impersonato perfettamente da Anthony Mackie. Peccato per la diminuzione delle scene d'azione, ora soppiantate da dialoghi però profondi e caratterizzanti. Interessante, infine, il modo in cui la serie si discosta dalla linea dei libri.

Simone Lelli
Amante dei videogiochi, non si fa però sfuggire cinema e serie tv, fumetti e tutto ciò che riguarda la cultura pop e nerd. Collezionista con seri problemi di spazio, videogioca da quando ha memoria, anche se ha capito di amarli su quell'isola di Shadow Moses.

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