Il cinema ha da sempre saputo raccontare grandi storie, alcune di pura fantasia ed estro creativo, ed altre vere, che seppur romanzate sono state capaci di emozionarci come poche altre cose sanno fare: è il caso di Air – La Storia del Grande Salto un film di e con Ben Affleck che parla della vicenda legata alle scarpe da basket più famose di tutti i tempi, le Air Jordan. A guidarci in questa rocambolesca storia, ricca di suspance nonostante si conoscano i risultati finali (le Air Jordan sono una realtà ancora oggi), c’è un eccezionale Matt Damon che nei panni di Sonny ci racconta un uomo visionario capace di realizzare l’impossibile.
1984: un mondo diverso
Siamo nel 1984, solo 39 anni prima dei nostri tempi, eppure dalle ricostruzioni visive con cui inizia la nostra storia, il setting appare come un mondo alieno, profondamente diverso da quello odierno. Un mondo fatto di videocassette, telefoni con il filo, nessun cellulare, e con internet che è una fantasia senza basi solide (per altro quasi nessuno sa cosa sia). Nello scenario in cui Eddie Murphy recita ad Hollywood, diversi brand di scarpe si contendono il dominio su una nuova era sportiva, quella del basket.
Converse è da sempre la regina del parquet, il brand che ha in qualche modo “fondato” le basi del gioco, indossata da campioni e non; c’è poi Adidas, il brand tedesco delle scarpe sportive, sulla cresta dell’onda in quel periodo in cui tutti i ragazzi ne vogliono un paio, oltre alle loro tute e ai loro para polsi. Infine c’è Nike, un brand che – fa strano a dirsi oggi – all’epoca possedeva solo il 17% delle quote di mercato sul mondo del basket.
Sonny Vaccaro (Matt Damon) è lo scout della squadra marketing della divisione basket per Nike, un uomo che dopo aver superato la quarantina si ritrova a fare i conti con sé stesso, con un lavoro che ama ma che non gli ha ancora dato quello che cerca. Non si tratta di una ricerca strettamente economica, dato che lavora per un’azienda da quasi un miliardo di dollari (nel 1984) e dal punto di vista della carriera è più che realizzato.
Il problema si pone quando il team del marketing deve decidere su quali atleti puntare per la stagione in avvenire: dopo diversi nomi, usciti dai ragionamenti del collega Rob Strasser (Jason Bateman) a capo della divisione, a Sonny viene un’idea rivoluzionaria, ovvero quella di incentrare tutti i $250.000 del budget su un unico giocatore, la stella nascente Michael Jordan, diciottenne molto promettente. Con queste premesse, si arriva a raccontare una storia vibrante, indubbiamente interessante, tenuto vivo soprattutto dalla straordinaria capacità attoriale dei protagonisti, in grado di farci vivere appieno le loro stesse emozioni.
Diventare vincenti
In tutto il film imperversano momenti scanditi dalle “regole della Nike”: una sorta di manifesto autocelebrativo dove l’azienda ha inserito delle idee, frasi specifiche che suonano come “il tuo lavoro non finisce fin quando non hai finito il tuo lavoro” o simili. Queste frasi possono essere viste come una sorta di mappa concettuale che Sonny di fatto non legge, ma che segue alla lettera per la ricerca di questo giocatore e di questo suo sogno di realizzazione.
Ben Affleck dipinge personaggi profondi, primo tra tutti il suo David Falk, fondatore e CEO della Nike, disegnando un uomo a metà tra il sogno di un ragazzino che vuole solo vivere la sua vita, e l’adulto che deve fare i conti con consigli di amministrazione, quotazioni in borsa e diverse divisioni sportive oltre a quella legata al basket. Matt Damon tiene in piedi tutta la pellicola con il suo fascino e la sua auto convinzione, un po’ come è già successo in Le Mans ’66 – La grande sfida, sebbene qui al posto di Christian Bale ci sia un Jason Bateman che impreziosisce il suo personaggio con un racconto sulla sua vita privata (che non vi raccontiamo, ma che vi anticipiamo potrebbe essere il punto più toccante del film).
Be Jordan
Air – la Storia del Grande Salto è un film storico, uno di quelli che probabilmente non passerà alla storia per essere il miglior film dell’anno o del secolo, ma che in qualche modo le generazioni vedranno e capiranno. Le due ore che scorrono sotto gli occhi dello spettatore sono davvero come un fiume in piena, che inizia da una piccola corrente per poi sfociare in una cascata d’emozioni semplici ma ricche di profondità. Il film non parla di scarpe in senso stretto, parla di famiglia e dei valori che questa tramanda, parla di amicizia e di rischi, anche quelli che prendiamo per noi stessi non rendendoci conto di quanto possano avere effetto sugli altri, e talvolta di come il nostro egoismo prevarica gli altri offuscandoci la vista ed impedendoci di capire le implicazioni di tali rischi. Il tutto si condensa in una squadra perché, senza un team, un solo uomo non può fare la differenza per quanto bravo sia.