Scagli la prima catapulta chi, all’annuncio della versione PS5, non abbia storto il naso: Age of Empires II è il paradigma del “mouse & tastiera” e l’idea di comandare contadini e cavallerie con un pad sembrava la classica operazione nostalgia fuori tempo massimo. Microsoft e Forgotten Empires, però, non si sono limitate a un porting distratto: ci troviamo davanti a un lavoro di adattamento sorprendentemente profondo, capace di preservare la complessità strategica dell’RTS più amato di sempre e, al contempo, introdurre migliorie tangibili per l’ecosistema console.
Il risultato? Un viaggio lungo mille anni di storia, 200+ missioni, decine di modalità e – soprattutto – la sensazione di avere il proprio regno sul divano, senza rinunciare né alla precisione del comando né alla pulizia visiva che la definizione 4K e i 60 fps stabili su PS5 sanno garantire.
Un’enciclopedia interattiva
La Definitive Edition per PS5 include tutti i contenuti del rilascio PC del 2019, le tre espansioni originarie (“Lords of the West”, “Dynasties of India”, “Dawn of the Dukes”) e il corposo pacchetto “The Three Kingdoms”, pubblicato in contemporanea con l’esordio su console. In totale parliamo di:
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45 civiltà complete di unità uniche, bonus economici e linee tecnologiche dedicate;
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39 campagne (tre in cooperativa) che ricostruiscono eventi storici dall’età carolingia alla conquista del Nuovo Mondo, fino alle guerre dei Tre Regni cinesi;
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Modalità Return to Rome con regole rivisitate in stile Age I, Hall of Heroes per la crescita dei generali e lo Scenario Editor potenziato;
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Cross-play integrale tra PS5, Xbox e PC, con lobby condivise e progressi cloud
Per un neofita significa oltre 300 ore di gioco “guidato”; per i veterani potenzialmente infinito, grazie alle schermaglie IA scalabili, alle partite classificate e alla valanga di scenari creati dall’utenza. Il vero nodo era l’interfaccia: un RTS a macro- e micro-gestione vive di click al millisecondo, eppure la soluzione adottata convince. Premendo R1 si apre il “radial” principale da cui dipartono quattro ruote contestuali (costruzioni, reclutamento, gestione economica, comandi militari). Ogni spicchio è richiamabile con una singola pressione del D-Pad o del tasto frontale, poi basta inclinare la levetta destra per selezionare la struttura o l’unità desiderata.
Il DualSense fa il resto: la vibrazione aptica modula il feedback fra raccolta risorse e sfondamento di mura, mentre i grilletti adattivi irrigidiscono la corsa quando si attiva l’ordine “Attacco mirato”, restituendo un senso di “peso” alle catapulte o ai trabucchi. Dopo un paio d’ore la memoria muscolare sostituisce il vecchio hotkey spam, e le lunghe sessioni risultano sorprendentemente comode. Certo, chi punta al competitivo millimetrico preferirà sempre mouse e tastiera – che restano comunque supportati via USB – ma nelle campagne e nelle lobby quick-match il pad regge senza intoppi.
Gameplay: intelligenza acuita e battaglie da colossal
Dietro l’impalcatura storica batte un cuore strategico rifinito. L’IA, da sempre tallone d’Achille degli RTS su console, qui risulta aggressiva e multi-direzionale: usa esploratori per fiancheggiare, devia le formazioni quando fiuta una trappola, e – al massimo livello – coordina assalti simultanei via terra e mare con una lucidità che costringe a pensare in anticipo. Gli scontri campali, complice il frame-rate inchiodato a 60 fps, diventano veri spettacoli di massa. Abbiamo difeso Costantinopoli con 300 unità in simultanea, torri incendiarie che crollavano e dromoni che arrostivano i pontili di legno, senza mai notare stuttering o input-lag.
In single-player spicca il nuovo sistema Hall of Heroes: completando obiettivi si guadagnano punti fama da investire sui generali (passive economiche, buff temporanei alle truppe, abilità “ultimate” come la carica di Guan Yu). Nelle campagne dei Tre Regni l’impatto è enorme, perché plasmare Cao Cao come “tattico spietato” o “logista instancabile” cambia l’andamento delle missioni successive. A livello di Multiplayer invece possiamo dire che questa volta si sviluppa in due punti:
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Cross-play nativo: basta collegare l’account PSN al Microsoft/Xbox per entrare in lobby condivise e match ranked con PC e Xbox, senza penalizzazioni di input.
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Server dedicati Azure: riducono la latenza e tengono traccia di ELO e statistiche, replicando in toto l’infrastruttura PC.
L’esperienza è, quindi, identica a quella su Steam: map pool aggiornato mensilmente, tornei community, mod manager con download diretto e, soprattutto, parità di patch day 0. Queto rende Age of Empire II: Definitive Edition super entusiasmante, allargando la parte multiplayer la competizione tra i giocatori è su un altro livello.
Comparto tecnico e artistico: 4K, HDR e zoom libero
Sul versante grafico la build PS5 eredita gli asset 4K della Definitive Edition, ma con texture ancora più nitide e un occhio di riguardo per le ombre proiettate da mura e torri, ora in ray-tracing ibrido. L’HDR fa risaltare i deserti siriani e i riflessi d’acqua sulle coste di Nagashima; il dettaglio poligonale dei modelli permette di distinguere al volo fra picchieri longobardi e uomini-d’arme burgundi, senza confondere unità durante il caos.
Il nuovo sistema di zoom – già introdotto su Xbox – consente di avvicinare fino a vedere i volti scolpiti dei samurai o allontanare fino a una mappa tattica quasi “Total War”. Di notte, le torce illuminano dolcemente gli accampamenti, mentre di giorno la foschia volumetrica alleggerisce la transizione fra pianure e colline.
Se vogliamo parlare di prestazioni e problemi invece, possiamo dire che avviamo avuto anche fare a volte con degli sporadici bug e qualche freeze. Niente di estremamente distruttivo, ma abbastanza fastidioso specialmente nelle fasi più concitate.
Ma quindi è o non è il miglior Age of Empires?
Age of Empires II: Definitive Edition su PS5 è la prova che, con la giusta cura, anche l’RTS più “PC-centrico” può vivere (e prosperare) su console. L’adattamento dei controlli è convincente, le prestazioni impeccabili e la mole di contenuti rischia di inghiottire mesi di serate strategiche. I limiti, pur presenti – DLC scaglionati, pathfinding da rifinire, mappe troppo familiari – non scalfiscono la qualità di un’esperienza che rimane, a distanza di ventisei anni, un monumento al design videoludico. Se avete anche solo la minima voglia di piazzare una Town Center sul divano, preparatevi: il medioevo digitale è pronto a reclamare (di nuovo) le vostre nottate.