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A Quiet Place, il terrore non ha rumore – Recensione

John Krasinski è uno di quegli attori (come Zach Braff, Joseph Gordon-Levitt e altri) che si diletta più per passione che per talento nella regia. La sua filmografia conta, infatti, solo due titoli senza infamia e senza lode, tra cui l’ambizioso adattamento da David Foster Wallace Brief Interwies with Hideous Men (2008) e la prevedibile commedia alla Alexander Payne, The Hollars (2016), destinati a festival indipendenti e a un pubblico naif. È difficile quindi credere che A Quiet Place, storia di sopravvivenza in una America da incubo e uno dei migliori horror dell anno, sia suo.

L’ attore simbolo di una delle serie comedy più apprezzate degli anni 2000 (Jim nella versione USA della comedy The Office, a fianco di Steve Carrel) porta e interpreta sul grande schermo una storia di sopravvivenza che è anche una metafora sulle responsabilità genitoriali, con la sinfonia del terrore del primo M.Night Shylaman, con una idea semplice ma estremamente efficace: nel 2020 creature mostruose e cieche (cui non ci è dato sapere da dove arrivino e quale sia la loro natura) cacciano gli esseri umani tramite un sensibilissimo udito. Per sopravvivere, l umanità dovrà seguire una sola regola fondamentale, ma estremamente provante: non fare rumore.

Protagonisti del film, una delle tante (o poche, non ci è dato sapere…) famiglie di sopravvissuti, gli Abbot, composta dai coniugi Lee (Krasinski) e Evelyn (Emily Blunt, moglie nella vita reale dell’attore e regista del film), e i figli Marcus (Noah Jupe) e Regan, sorda dalla nascita (Millicent Simmonds, attrice sordomuta già apprezzata in Wonderstruck di Todd Haynes), che cerca di sopravvivere al meglio delle proprie capacità a seguito di una orribile tragedia)e in vista di una inaspettata quanto pericolosa gravidanza di Evelyn.

L’attore-regista e sceneggiatore (firmata assieme a Scott Beck e Bryan Woods, autori specializzati nel genere e autori della storia) gioca con astuzia sul suono, alternando picchi di tensione musicale a momenti di terrificante silenzio altrettanto tesi, arricchendo il tutto ulteriormente con momenti di rara dolcezza tra i membri della famiglia. In un mondo da incubo in cui il silenzio è sopravvivenza, John Krasinski ci mostra con dovizia di particolari e attenzione cosa ciò comporta: le normali azioni quotidiane diventano operazioni delicate, la comunicazione esclusivamente tramite il linguaggio dei segni, la ricerca di cibo e medicine un’odissea in bilico tra la vita e la morte. E in tutto questo, noi spettatori ci immedesimiamo con ansia febbrile negli Abbot, compatendo tristemente i membri più piccoli, privati di una normale infanzia e costretti a vivere nel terrore e ammirando i genitori, che lottano al limite del sacrificio solo per permettere ai figli di sopravvivere.

A Quiet Place ci ricorda, ancora una volta, come l horror di qualità abbia le potenzialità per essere l’esperienza cinematografica definitiva, e di come non esistano esperimenti abbastanza folli o stupidi da non poter essere portati sullo schermo. E che, infine, l’horror, quello intelligente, raramente è stato in una forma migliore.

A Quiet Place

9.3

A Quiet Place ci ricorda, ancora una volta, come l horror di qualità abbia le potenzialità per essere l'esperienza cinematografica definitiva, e di come non esistano esperimenti abbastanza folli o stupidi da non poter essere portati sullo schermo. E che, infine, l'horror, quello intelligente, raramente è stato in una forma migliore.

Pierfranco Allegri
Pierfranco nasce a Chiavari il 1 Aprile 1994. Si diploma presso il liceo Classico Federico Delpino e studia Cinema e Sceneggiatura presso la Scuola Holden di Torino. Al momento scrive recensioni online (attività cominciata nel 2015) presso varie riviste tra cui GameLegnds e Cinefusi.it

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