Dopo il suo approdo in Early Access su Steam durante la prima settimana del mese, ci siamo presi del tempo per inquadrare al meglio il nuovo lavoro edito da 505 Games e sviluppato da Limbic Entertainment. Partiamo col dire che il gioco, al di là della sua natura e del setting abusati nel corso degli ultimi anni, riesce a dire la sua in quanto ad originalità di svolgimento, ma la strada per raggiungere un’identità definitiva è ancora lunga. Memories of Mars è ambientato chiaramente sul pianeta rosso, quello che per caratteristiche si avvicina di più alla nostra amata (e maltrattata) Terra. Forse è proprio per la saturazione che ha subito il nostro pianeta natale con lo scorrere del tempo, che la razza umana ha tentato la quanto mai sognata colonizzazione di Marte. Già dai primi secondi di gioco però ci renderemo conto che non proprio tutto è andato come sperato.
Prenderemo possesso del nostro personaggio in un non precisato laboratorio, nel quale ci risveglieremo apprendendo da subito che non tutte le presenze in loco sono gradite. Non mi riferisco solamente al ragno meccanico che ci saluta dalla grata – uno dei nemici più comuni, che incontreremo in molte occasioni durante il gameplay – ma anche alla moltitudine di cloni presenti nelle loro capsule appena nell’altra stanza. Esatto, anche noi siamo un clone. Facendo due più due, ci accorgeremo da subito che il luogo è abbandonato, un tentativo di colonizzazione fallito prima di prendere piede del tutto, eppure in un certo senso la “vita” sul pianeta cremisi c’è ancora.
Sapendo che si tratta di un survival game, anche se atipico con elementi richiamanti il genere sparatutto e con un craft mode ben strutturato, dobbiamo prepararci a fare i conti con la morte (quanto numerose, spetterà alle vostre capacità definirlo). Dopo ogni morte sceglieremo in che punto della mappa ricomparire tra quelli disponibili, cosa particolarmente utile se calcoliamo che su essa è anche marcato il nostro ultimo punto di morte. Ma se il nostro personaggio è morto, chi comanderemo? Siamo cloni, di conseguenza saremo di nuovo uno dei tanti.
Come fiero esponente del genere, in Memories of Mars inizieremo senza nulla, dovendoci procurare con pazienza e fortuna dei materiali per poter costruire oggetti e strutture. Bazzicare fin da subito gli edifici potrebbe risultare un grosso rischio, dove spesso c’è un’elevata concentrazione di “fauna robotica”. Questo tipo di nemici in ogni caso saranno i vostri problemi minori, perché sopraggiungono prepotentemente tutte le caratteristiche che compongono la costituzione delle leggi dei survival. Oltre all’indicatore della vita, dovremo tener conto di quello dell’ossigeno, ma anche del peso che abbiamo addosso, passando per la fatica, le calorie e il battito cardiaco. Come potete leggere, molte di queste sono legate indissolubilmente all’ambiente di gioco, e per aver a disposizione tutto quello che serve bisognerà lavorare molto di strategia. Tenete quindi sempre sotto occhio gli indicatori dell’HUD che, per quanto non risulti invasivo all’occhio, è determinante per la vostra sopravvivenza.
Qui infatti sopraggiunge un’altra delle caratteristiche base di Memories of Mars: gli altri giocatori online. Chiaramente nel server non saremo gli unici a destarci dal nostro sonno, e i giocatori che potremo incontrare nella vastità della mappa (circa 16 km quadrati) non saranno sempre amichevoli. Cooperare o saccheggiare sarà una vostra scelta, ma se è vero che l’unione fa la forza, una sorta di “via di mezzo” potrebbe essere l’ideale per portare avanti partite molto equilibrate. Queste caratteristiche, unite all’equipaggiamento, richiameranno alla memoria alcune situazioni scomode tipiche dei giochi di ruolo.
Sul piano tecnico il titolo si difende bene, forte delle prestazioni dell’Unreal Engine 4, ma se giocato con una GTX 970 con qualità ultra può mostrare il fianco in alcune occasioni, inchiodandosi nelle fasi più concitate. Il consiglio per fruirne al meglio è quindi munirsi almeno di una GTX 1080. Sul piano ludico invece sono ancora molte le cose da “ristrutturare”, partendo dalla diminuzione dei danni da piccole cadute, passando per l’inchiodarsi del giocatore su alcuni oggetti quando si trovano a mezzo metro di distanza (quasi fossero quadrati). Le fasi di shooting sono passabili, ma migliorabili: anche non essendo propriamente uno sparatutto, la coerenza dei colpi sparati e dell’impatto dei proiettili (compresi quelli nemici) è buona, ma necessita qualche calibrazione in più su alcune delle armi che utilizzeremo. Il difetto principale che però si porta dietro il titolo al momento è un gigantesco senso di vuoto, la mancanza di quei segni distintivi che ne determinino l’identità. La genuinità del lavoro c’è, ma ripetendomi, devo dire che la strada da fare per trovarci di fronte a un titolo che possiamo definire “completo” è ancora lunga. Le premesse, in ogni caso, sono buone.