Una storia, se affrontata attraverso il punto di vista dei suoi personaggi, assume certamente sfumature più intime e soggettive, con la possibilità di trasporre quanto raccontato filtrandolo non attraverso l’onniscienza di un narratore superiore e distaccato, ma con uno sguardo inevitabilmente parzializzato dalla consapevolezza di chi guarda. Questa scelta narrativa incide sulla creatività generale, arrivando a toccare corde anche estremamente umane e sensibili, le quali impattano inevitabilmente sul fruitore, che sia il giocatore o altro. E’ proprio questo intimismo una delle chiavi di volta principali a disegnare questo The Signifier, trascinando in prima persona chiunque abbia il coraggio e la curiosità di entrare e di esplorare le pieghe della sua trama. La possibilità di costruire, passo passo, quanto si ha davanti, cercando di trovarne un senso logico e magari continuativo, apre dunque la strada verso un’esperienza che non tarda mai di sorprendere, anche nel suo piccolo, con idee originatesi da una base fortemente riconoscibile (parlando di stile), successivamente affrontata ed esplorata in una dimensione che collima con l’impronta di genere, trasportando in una concezione dell’azione molto più complessa.
Di cosa parla questo The Signifier
Le vicende di The Signifier si originano dal genere che lo presenta. Si tratta di un tech-noir, con ovvie sfumature di “giallo”, in prima persona, nel quale dovremo indossare i panni di Frederick Russell, un esperto sia di psicologia che nel campo della IA (intelligenza artificiale), il quale si ritroverà invischiato in tutta una serie di misteri ed intrighi che lo vedranno investigare sulla scomparsa della vice-presidente della Go-AT, una gigantesca multinazionale che fonda le proprie ricerche ed investimenti sul miglioramento della vita, proprio attraverso lo studio dell’IA. Il tutto, fatto passare per suicidio, non convince coloro che ci lavorano, al punto da coinvolgere Fredrick stesso nell’indagine, ed il suo Dreamwalker. Il Dreamwalker è lo strumento centrale intorno al quale si sviluppa l’intero gioco, invenzione e risultato della ricerca del nostro protagonista. Questo macchinario gli consente di accedere ai ricordi degli esseri umani, attraverso particolari e specifiche scansioni che, con un’attento lavoro, riescono a ricostruire addirittura i recessi più reconditi del subconscio, facendone riaffiorare i dettagli, traumi e negazioni.
Il termine stesso “The Signifier”, “il significante”, traduce fin dal principio le intenzioni del titolo e della sua trama, rifacendosi alle importantissime ricerche di Jacques Lancan, filosofo francese, assorbite anche dal celebre linguista Ferdinand de Saussure, in linguistica. Secondo Lancan, l’inconscio stesso degli esseri umani è formato da un insieme di legami fra vari significati, i quali raggiungono un senso soltanto nel momento in cui si legano ad altri simili. Tutto ruota, dunque, intorno a questi “legami” e non agli stessi significanti, conducendo a una ricerca che implica non soltanto l’analisi di ciò che si ha davanti, ma la visione di un vero e proprio “insieme”, il quale andrà, nella sua totalità ontologica a rappresentare qualcosa di concretamente avvenuto nel mondo reale. In parole povere, il giocatore, partendo dalle ricerche del protagonista, dovrà esplorare le “memorie” della suddetta donna, affrontando il tutto in chiave investigativa.
In The Signifier dovremo insomma investigare. Le nostre indagini, però, non si muoveranno soltanto all’interno del mondo reale, attraverso uno sguardo distaccato, ma all’interno della “mente” stessa, della potenziale vittima. Attraverso il Dreamwalker potremo accedere a delle specifiche scannerizzazioni celebrali, che trasporranno l’azione dal mondo reale, caratterizzato da un design relativamente geometrico, al mondo più astratto ed onirico dell’inconscio. E’ proprio qui che l’azione più originale del titolo prende vita, trascinando in un’ambientazione che distorce enormemente la realtà, e nella quale nessuna regola della fisica e della logica avrà più un senso. La possibilità di esplorare una “dimensione” del genere, ovviamente, conduce a una esposizione e interpretazione artistica che colpiscono in pieno, non soltanto per la loro estetica, ma anche per il sound design che non tarderà mai di contestualizzare un’immersione a tratti fortemente disturbante e simbolica.
Qui il giocatore avrà due possibilità, due approcci: uno oggettivo, e uno soggettivo. Entrambi mutano enormemente quanto si ha davanti, con il secondo soprattutto, affiora una sensibilità rappresentativa anche segnante. Attraverso queste si dovranno raccogliere più dettagli possibili nei confronti di quanto si ha davanti, non soltanto osservando, riflettendo, ed analizzando, ma toccando “con mano” e “sistemando” alcune discrepanze dovute, non alla mente umana, ma dalla sua lettura e rappresentazione in chiave digitale. Da tutto ciò avremo: la raccolta di “raw data” (sorta di bug da sistemare), la manipolazione della temporalità di alcuni eventi, il contatto con avatar, ecc. ecc. Tutto resta sospeso e a tratti inafferrabile, presentandosi come un gigantesco puzzle da formare lentamente, pezzo dopo pezzo.
L’importanza della percezione
Il mondo di gioco di The Signifier rappresenta uno degli elementi centrali di tutta l’esperienza, non soltanto dal punto di vista psico-interpretativo, con la riproduzione introspettiva tramite il Dreamwalker, ma anche dal punto di vista realistico, della costruzione del mondo reale, delle routine del protagonista. Nel corso di tutto il gioco potremo infatti analizzare moltissimi oggetti, basta che siano in un certo qual modo legati al personaggio che li riguarda. Ognuno di questi “elementi” quindi, si trasforma da mera decorazione a vera e propria descrizione, donandoci non soltanto un’importantissima contestualizzazione a livello narrativo, ma anche un punto di vista sempre attento di Frederick stesso, il quale non tarda mai di esprimere pareri personali su qualsiasi cosa. Inoltre sarà possibile interagire anche con articoli scientifici, di giornale, libri… i quali approfondiranno i lati più complessi del mondo che si ha davanti, legandolo anche alla realtà.
Dal punto di vista del gameplay, The Signifier si pone come un gioco semplicissimo, un punta e clicca in prima persona intriso dalle dinamiche di un’indagine quasi ineffabile, nella quale ogni cosa si distacca sovente da tutte le regole razionali alle quali siamo abituati, approdando dunque in una dimensione fortemente interpretativa, al punto da trascendere il semplice concetto di “indagine”. Qui potremo interagire quasi con ogni cosa, avendo il compito di ricostruire una sorta di unicum che guidi alla soluzione finale.
In termini grafici ci troviamo davanti a un lavoro piuttosto ben fatto. La cura generale contribuisce ad una forte immersione anche se con i suoi limiti. Le imperfezioni più palesi si possono notare proprio nel “mondo reale” in cui si muove il protagonista, con una modulazione fondamentalmente geometrica di ogni cosa, aspetto che dando luogo ad un contesto molto razionale e pragmatico, quasi troppo spoglio, vuoto, con una rigidità che non abbandona mai il punto di vista di chi guarda. E’ proprio lo schematismo con cui alcuni oggetti vengono predisposti ad intaccare un po’ la magia generale, pur restando tutto credibile. A valorizzare ogni cosa, però, contribuisce il comparto sonoro. Questo, dotato non soltanto di ost apposite, ma soprattutto tramite l’utilizzo di suoni, anche manipolati, riesce ad ingigantire l’immersione superando, a volte, anche i limiti dello schermo stesso, trascinando lo stile di quanto si ha davanti fino al limite del disturbante, complice anche l’ispirazione che avvolge alcuni elementi, soprattutto quando si entra nel macchinario.
In conclusione, con questo The Signifier, Playmestudio mette sul tavolo un titolo dalle mille sfumature che, partendo da una base semplicissima, fonde elementi culturali alle possibilità espressive del medium. Questo senza dubbio si erge, sviluppandosi in un genere non facilmente leggibile, o assimilabile, o interagibile, soprattutto se non si prestano le dovute attenzioni a tutto quello che si ha davanti, anche perché quando si entra troppo nell’astratto non sempre si riesce sempre a leggere tutto attraverso la giusta chiave di lettura, chiave che, volente o nolente, il giocatore deve saper osservare e costruire anche con un certo impegno.