Better Man Recensione: Il sogno di Robbie Williams incarnato da una scimmia

In arrivo al cinema il film biografico su Robbie Williams: attraversando il panorama musicale dell'artista, Michael Gracey ci racconta tutto il suo dolore. Ecco la recensione.

Laura Traina
Di Laura Traina - Contributor Recensioni Lettura da 9 minuti
Better Man
8 Ottimo
Better Man

«Pensavo che per diventare famosi bisognasse essere tanto bravi, a quanto pare invece bisogna saper dare un po’ di spettacolo» e lo spettacolo non ci manca proprio in Better Man, il biopic musicale di Robbie Williams in uscita al cinema dal 1 Gennaio.

Diretto da Michael Gracey – lo stesso regista di The Greatest Showman – il film vede protagonista Robbie nelle vesti di una scimmia. Una bomba creativa che non ci si aspetta, dove l’attore Jonno Davies viene trasformato con motion capture e CGI in un vero e proprio animale dalle sembianze umane. Ed ecco quindi che seguiamo la vita di uno scimpanzé dalla sua infanzia alla sua ascesa sui palchi, senza staccare l’attenzione un secondo, come se davanti a noi avessimo il vero e proprio Robbie Williams.

Un passato tormentato

Una fotografia dal gusto indipendente ci trasporta piano piano all‘Inghilterra degli anni ’90 dove Robert cresce in una famiglia povera, con il padre alcolizzato Peter (Steve Pemberton), grande amante del mondo musicale e fan degli show-man, la madre devota, e una nonna speciale. Messo da parte dagli amici e dallo stesso Peter, che abbandona la famiglia per inseguire illusioni di successo, la scimmia inizia a trovare nella musica il suo rifugio, non sentendosi però mai abbastanza.

Il carattere invece di certo non gli manca, ed è grazie a questo che Robert supera l’audizione per diventare membro di una nuova boy band: i Take That. Nasce così Robbie Williams, nome assegnatogli dal manager Nigel (strepitoso Damon Harriman), alla sola età di 15 anni. Parte il successo, le tournée con il gruppo, la droga, l’alcol, la vita sfrenata e irregolare, il carattere impossibile che l’artista tende sempre più ad avere, fino a quando i Take That decidono di separarsi da lui.

Better Man

Ecco quindi arrivare l’amore a salvarlo, dal magico incontro con Nicole Appleton, membro delle All Saints e interpretata nel film da Raechelle Banno. Sfortunatamente l’industria musicale si mette in mezzo ancora una volta alla felicità del giovane, privandogli di avere una famiglia con Nicole, e da lì inizia il declino. Robbie si rialza con la sua carriera da solista, e finalmente si apre, mostra al mondo di cosa è capace, iniziando ad esibirsi in compagnia del compositore Nate (Frazer Hadfield).

Eppure, nonostante il successo, ancora una volta la sua autostima, le sue dipendenze, l’estrema ricchezza e i problemi con il padre lo portano nuovamente a toccare il fondo. È il legame con la nonna Betty (fantastica Alison Steadman) a risvegliarlo nuovamente e soltanto quando Robbie inizierà ad affrontare le sue problematiche più profonde, l’artista inizierà ad accettare sé stesso e a godere finalmente della sua realizzazione.

Sulle note di My Way di Frank Sinatra, si chiude il film: «I did it my way» cantano Robbie Williams e Peter, riprendendo una delle prime scene del film, in cui il figlio ha un momento di legame sincero con il padre. Sul palco del finale, il cantante ormai famoso guarda al passato, canta che ce l’ha fatta; ha raggiunto quella “cosa” che Peter sosteneva che si possiede dalla nascita, oppure no, e l’ha fatto “a modo suo”, affrontando tutto ciò che la via del successo comporta.

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L’istinto animale

È pazzesco come la paura che una scimmia possa deviare la riuscita del film, si trasformi invece in una fantastica innovazione, che rende il musical differente da qualsiasi altro prodotto biografico. L’animale diventa un simbolo, è quello in cui si rivede Robbie Williams, che da sempre si è considerato stupido, inutile e non all’altezza degli altri. Un animale, ambiguo, molto carnale che segue i suoi istinti così come nella vita sfrenata del cantante. Uno scimpanzé in un certo senso cupo, scuro, peloso, che rappresenta un’ambivalenza del personaggio, comico ma allo stesso tempo depresso e mostruoso, per come lui stesso si vede.

La scelta è funzionale, poi, per evidenziare come il mondo dello spettacolo accalappi giovani nelle sue grinfie e spesso li addomestichi come delle scimmie, impotenti e costretti a mettere da parte la loro reale vena artistica per scopi economici. Scelta riuscita quindi quella della sostituzione, anche se per un attimo lo spettatore avrebbe desiderato vedere Robbie Williams in carne ed ossa, almeno nelle scene finali.

Quello che è certo, è che una volta usciti dal cinema, non si può fare a meno di non pensarci: a lui, alla sua vita e alla sua musica. “Curiosità” forse è la parola giusta. La playlist musicale di Robbie Williams accompagna tutto il film plasmandosi alla perfezione con ogni scena, da citare quella in cui il cantante canta la sua Rock Dj, nel momento di esplosione dei Take That: un vero e proprio momento da musical, con una coreografia pazzesca realizzata in strada a Londra vicino a Piccadily Circus. Non si riesce a stare fermi e a non cantare con loro, il film trasuda da tutti i pori l’energia e il ritmo pop anni ’90-2000.

Una scrittura Pop

L’atmosfera si evince anche dalla scrittura. Niente da dire a Simon Gleeson, Oliver Cole e lo stesso Michael Gracey che creano dei dialoghi perfetti. In tutto il film è come stare in una partita a ping pong, gli attori rispettano una partitura ironica, fresca e brillante nel modo di parlare, proprio pop e dal tono scurrile, rispecchiando la visione alla Williams. La storia è ben costruita, le fasi sono ben attraversate; se ci fosse stato qualche taglio ad alcune scene di declino a tratti ripetitive, si sarebbe raggiunta la perfezione.

Ma l’intento forse è proprio quello di stordire, di ottenere in chi guarda una reazione esasperata di fronte al viaggio verso il buio di Robbie Williams; non ce la si fa più, ad un certo punto si sente il bisogno di riemergere, proprio come nei film. Better Man invece ti lascia in bocca la sensazione d’amarezza e il lieto fine prende poco spazio nella storia: «Dicono che l’età si fermi quando diventi famoso, io ho 15 anni» racconta Robbie in una delle ultime scene, impossibile non rabbrividire.

Better Man

Organico e intenso

Un soffocamento ben espresso dalle idee originali dei creatori, come l’immagine toccante di quando Robbie viaggia con la sua macchina attraverso una bolla d’acqua ritrovandosi incastrato sotto ad un lago ghiacciato, dove mani su mani di persone lo spingono sempre di più verso il basso. Immagini simboliche, performance da musical, momenti storici e biografici, attimi drammatici ed ironici; il film è un impasto omogeneo e ricco da gustare piacevolmente.

Unica pecca è che ogni tanto sembra passare un concetto un po’ moralista, quel pensiero secondo cui anche se realizzi ciò che desideri da tutta la vita puoi restare sempre infelice, perché ciò che importa davvero sono le parti più intime. Si poteva spingere di più sul fatto di “come” realizzi i tuoi desideri, non c’è una sola via e non sempre raggiungere il successo porta all’infelicità. Ma il film si salva perché tocca un punto che unisce tutti, famosi e non, ed è il nostro bambino interiore, che trasciniamo con noi dal momento zero della nostra vita. Il bambino, qui, riemerge anche alla fine, quando Robbie Williams canta al suo concerto più grande:

Volevo che quel bambino di 12 anni si sentisse al sicuro sul palco, come quando a casa guardava la tv con sua nonna.

Il progetto è partito nel 2021 e ha impiegato 4 anni per uscire. Ora finalmente con l’inizio del 2025 sta arrivando al cinema, e non ci sembra proprio il caso di lasciarselo scappare.

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Contributor
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Appassionata di cinema, laureata in DAMS e attrice di professione. Respiro di creatività e scrittura.