Yonder: The Cloud Catcher Chronicles Recensione

Gianluca "Gianz" Bianchini
Di Gianluca "Gianz" Bianchini Recensioni Lettura da 7 minuti

Al giorno d’oggi i videogiochi hanno sempre più una connotazione epica che contraddistingue trama, gameplay e altri aspetti di un titolo. Spesso bisogna riportare la pace in un mondo devastato dalla guerra, altre volte bisogna preservare l’estinzione della propria razza, o ancora si ricorre al canovaccio della principessa in difficoltà per catapultare il giocatore attraverso la vicenda principale di un gioco, spingendo il giocatore all’avventura. Yonder: The Cloud Catcher Chronicles, sviluppato dai Prideful Sloth ha un incpit classico: nemmeno dopo pochi minuti ci si ritrova in mezzo a quella che a tutti gli effetti è una burrasca in mare aperto, che ci fa naufragare a Gemea, l’isola verso cui la nostra imbarcazione è diretta.

La trama è da subito abbastanza precipitosa, quasi come la componente narrativa di questo Yonder non perda tempo in fronzoli per lasciarci giocare prima di subito, ma è solo un modo per non far pesare la trama sull’esperienza: tutto ci verrà rivelato a tempo debito, questo è certo. Eccoci quindi a girovagare per la particolarissima isola di Gemea, un vasto territorio che comprende ben 8 regioni dai differenti climi, ma su questo torneremo tra un po’. Quel che fin da subito sembra importante nell’avventura è che bisognerà esplorare ed aiutare la popolazione di Gemea sparsa nell’isola: generalmente, le quest che verranno assegnate saranno per lo più del tipo “colleziona oggetto X in quantità Y” e tutte le sue varianti più conosciute.

La risoluzione di queste missioni verrà affidata alla capacità degli arnesi che potremo usare: asce per tagliare gli alberi e raccoglierne la legna, il fieno derivato dallo sfoltire i campi con il falcetto o ancora usare il piccone per ricavare dei minerali dalle vene nella roccia. Tutte le quest hanno più o meno lo stesso svolgimento, e danno all’esperienza un ritmo molto compassato, tipico dei giochi di ispirazione “bucolica” come Harvest Moon o il più recente Stardew Valley. 

Arriveremo pure alla possibilità di costruire delle fattorie di nostra proprietà lungo tutte le regioni della mappa, il che ci aprirà delle possibilità utili per il completamento delle nostre missioni: infatti in una fattoria sarà possibile sia allevare animali che coltivare piantagioni, in modo da essere sempre forniti di materie. La particolarità di questi luoghi è che non si possono lasciare incustoditi, dovremo infatti assoldare un NPC al quale lasciarne la gestione. Altro principio su cui si basa il gameplay è che non esiste una valuta corrente a Gemea. L’unica possibilità di commercio è affidata al baratto, che rispecchia sensibilmente le necessità di una popolazione rispetto al luogo dove si trova: verrà infatti valutata meglio la pelle conciata dagli animali per chi deve coprirsi dal freddo, o ancora il pesce pescato avrà molto successo in luoghi dove non è possibile pescare.

Tutte queste considerazioni e accortezze fanno parte di una buona fetta del sistema di gioco di Yonder, ma non comprende un aspetto che vi accompagnerà per tutta l’avventura e su cui fa perno tutta la trama: il Miasma. Tale nube malefica ha intossicato varie zone della mappa e sta a noi ripristinarle per aprire passaggi, sbloccare dei punti importanti e portare a termine la missione principale: riportare l’equilibrio a Gemea. Per assolvere questo compito dovremo però trovare via via i folletti che popolano l’isola e che possono, collaborando tra loro, purificare le zone colpite da questa calamità misteriosa.

Yonder_BeachTreasure

Purtroppo alla lunga un p’ tutto il gameplay soffre di una ripetitività non certo benevola, anzi: in alcune parti ci si chiede se veramente non si poteva creare una varietà di azioni da fare più ampia. D’altronde anche il sistema del baratto ha qualche pecca, in quanto alcune volte risulta poco funzionale rispetto alle necessità del giocatore.

In ogni caso la formula di Yonder è semplice, anche perché il fulcro del gioco è l’esplorazione: potendo contare su cicli giorno notte e sul passare delle stagioni, il gioco offre sempre negli scorci, nella fauna da scoprire nuovi stimoli, sebbene non ci siano interazioni particolarmente significative in queste situazioni. Ecco perché la componente tecnica del gioco ha un ruolo predominante, specialmente nella direzione artistica: ogni dettaglio, dalla flora alla fauna passando per gli abitanti dei vari villaggi, hanno un design vagamente fiabesco che avvolge l’esperienza dolcemente e fa da vero e proprio traino per il giocatore: spesso infatti si finirà a vagare giusto per il gusto di farlo e a questo scopo la realizzazione di ambienti ed elementi vari permette di calarsi nell’avventura tranquilla di Yonder.

Peccato però che uno degli elementi più frustranti del gioco sia la gestione della telecamera, che risulta essere tutto fuorché funzionale e intuitiva: il cursore è davvero lento e risponde con un certo ritardo agli input che vengono dati, facendo storcere il naso il più delle volte. Anche la fisica spesso lascia a desiderare: se è vero che il gioco permette attraverso il salto di esplorare le zone anche verticalmente, arrampicandosi su altipiani e piccole montagnole, purtroppo non sempre tale opzione risulta fruibile completamente per via di muri invisibili che spezzano di tanto in tanto la libertà di esplorazione. Interessante invece l’audio che, similmente all’ultimo Zelda, preferisce un silenzio quasi minimale per farci ascoltare meglio i rumori della natura. Un tocco che, sebbene sia stato già utilizzato, non ha deluso per niente.

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Gioco da ormai 15 e passa anni ai videogames, il più dei quali sono stati titoli di Nintendo. Ma ho anche giocato spesso alle saghe divenute classiche anche nella scorsa generazione appartenenti ad altre piattaforme. Ma Zelda rimane Zelda, una fetta del mio cuore c'ha la triforza disegnata sopra.