Fin da quando ero solo un bambino, i videogiochi hanno sempre avuto un volto per me. Super Mario, Sonic, Link, tutti gli eroi che mi hanno accompagnato nelle innumerevoli avventure passate tenendo in mano un controller hanno sempre avuto un’immagine ed una personalità ben definita. Che fossero cavalieri dalle scintillanti armature o soldati spaziali alla scoperta di pianeti sconosciuti, ciò che mi portava a fantasticare di combattere al loro fianco anche dopo aver spento la console, era proprio l’impatto iconografico che il protagonista videoludico sapeva suscitare. Come per i protagonisti dei libri che leggevo o dei film che guardavo alla televisione, anche i videogiochi portavano sulla scena le peculiarità dell’eroe. Sebbene anche agli albori dell’era 8 bit esistessero dei titoli che davano al giocatore la possibilità di modificare il personaggio principale, sono i giochi che davano un volto alla propria star quelli che ricordiamo ancora oggi, quelli la cui mascotte vende ancora moltissimo, a distanza di tanti anni. Sta per arrivare, ad esempio, un sequel per il tormentato film su Sonic, e si vocifera di un lungometraggio di Super Mario dopo quel disastro del 1993.
L’evoluzione del comparto tecnico ha poi dato uno sprint enorme all’evoluzione del protagonista. Quegli eroi che tanto amavo hanno smesso di essere dei semplici sprite animati, e sono diventati degli uomini quasi in carne ed ossa. Iniziavano a parlare, a gesticolare, potevo capire quale fosse il loro stato d’animo anche semplicemente dalla loro espressione facciale. E questo mi ha decisamente aiutato ad immedesimarmi ancora di più in loro. Immedesimazione, dunque. Si, ma con lo stesso protagonista, o semplicemente un’empatia mascherata, non per lui ma per l’epopea che stava vivendo?
Il protagonista videoludico sei tu
Se ci pensiamo bene, soprattutto negli ultimi anni, di veri e propri “nuovi” eroi ne stanno nascendo veramente pochi. O meglio, i nuovi eroi siamo semplicemente e direttamente noi. Tra poco meno di un mese arriveranno sugli scaffali dei negozi il tanto atteso Cyberpunk 2077 e l’ultimo capitolo dell’ormai onnipresente saga di Assassin’s Creed, Valhalla. Entrambi, sulle copertine e negli spot pubblicitari, hanno un volto ben preciso; partiamo da Eivor. In una decade in cui i vichinghi hanno conquistato la scena, dalla serie Vikings trasmessa su History, fino alla nuova rinascita di God of War, la mitologia nordica – e tutto l’universo che vi ruota attorno – è ormai diventata popolarissima, ed il team creativo di Ubisoft ha deciso, saggiamente, di attingere a questa gallina dalle uova d’oro a piene mani. E quindi Valhalla, e quindi Eivor.
Il nostro agguerrito vichingo ha un volto ed una fisionomia ben definita. Ma non è più un eroe al singolare. Il giocatore potrà infatti scegliere se giocare nei panni di un protagonista maschile o di una protagonista femminile. Non solo, l’aspetto del nostro eroe norreno potrà essere modificabile, dal volto, ai capelli, ai tatuaggi. Ubisoft, è bene precisarlo, con un editor del personaggio non si è certo inventata nulla, tutt’altro. Eppure è solo uno, seppur tra i più importanti, esempi di come la necessità di un immutabile e statico protagonista non è più così forte. Il videogioco vende, è conosciuto e se ne parla senza aver più bisogno di un volto che sia perfettamente riconoscibile. Il videogioco è diventato un essere vivo a se stante, che colpisce il videogiocatore semplicemente con la forza mediatica del suo universo. Non solo, è anche esempio di come il videogioco, come medium, stia andando sempre di più incontro alle necessità del pubblico e alle correnti del cinema e della televisione.
Videogiochi e serie TV. Due forme di intrattenimento che si stanno fondendo sempre con maggiore insistenza reciproca con il nostro tanto amato mondo dei videogiochi. Dicevamo prima, appunto, di Cyberpunk 2077. Come per Valhalla, i ragazzi di CD Projekt Red hanno deciso di abbandonare un protagonista forte e d’impatto come poteva essere Geralt di Rivia (che pure è tratto da un libro, ed è diventato il protagonista di una serie Netflix) e si sono spostati su di un personaggio completamente personalizzabile, V. Sulla copertina l’eroe c’è, però, sia ben chiaro. Il gioco non è ancora arrivato su console e già troviamo in giro merchandising, Funko pop, statue, libri e fumetti. È stata addirittura già annunciata una serie anime per Netflix. Eppure, e di nuovo, anche qui avremo un personaggio che una volta iniziata la nostra epopea, verrà generato da zero e sarà diverso da quello che nascerà sui monitor dei nostri amici… e con V si è andati addirittura oltre. Non solo la scelta tra uomo o donna, ma si arriverà a poter modificare anche i suoi genitali. Un eroe del quale potremo scegliere non solo il background, non solo il suo futuro, ma anche la più piccola parte del suo cyber-corpo.
Dal cinema alla console
Un nuovo tipo di eroe sembra quindi accompagnare l’alba della nuova generazione. Un eroe che ha sì un volto definito, che può tramutarsi in una mascotte capace di riempire le casse delle software house, ma anche un eroe che corre incontro alle esigenze e a quel bisogno di immedesimazione del giocatore. Uomo, donna, alto, basso, etero, bisessuale, umano o cyborg, potremo davvero ricrearci su misura nei generi videoludici più disparati, e che va incontro anche al mondo del cinema e delle serie TV. Sì perché, rimanendo sull’ormai prossimo Cyberpunk 2077, il volto che sta facendo vendere il titolo, e che lo sta facendo conoscere anche a chi di videogiochi è rimasto a Space Invaders, non è mica V. No, è qualcuno che viene proprio dal cinema. Di Johnny Silverhand, conosciuto anche come Keanu Reeves, potete già trovare magliette, statue, musica, e tutto ciò che vi viene in mente. È stato addirittura lui a presentare al mondo il gioco, e ad attirare verso il videogioco come medium chi mai si sarebbe sognato di prendere un pad in mano.
Un nuovo eroe dunque, un nuovo protagonista che si rivolge ai giocatori e che viene dal grande schermo. Sempre più personaggi, infatti, non sono realizzati più a partire da zero, ma tramite il motion capture. È questa, senza ombra di dubbio, in prima battuta una necessità tecnica. Le espressioni facciali ne hanno grandemente beneficiato, così come quella immedesimazione di cui parlavamo prima. Ma con la scusa, portare sulle console un volto noto male non fa. Death Stranding ne è l’esempio perfetto. Hideo Kojima, che ha sempre voluto fare cinema senza mai nasconderlo, ha creato l’ibrido perfetto. Sam Porter Bridges ha la faccia di Norman Reedus, cosa che convinse molti a comprare il gioco “con quello di The Walking Dead”. Fragile è Lea Seydoux, c’è Guillermo Del Toro e Mads Mikkelsen è il cattivo principale. È un gioco che non ha personaggi, ha direttamente un cast. Un eroe nuovo quindi, con un volto definito ed un iconografia chiara come quella di Super Mario, ma che gli viene conferita dal fattore “wow, ma è quelli di!”, piuttosto che da “wow, ma che personaggio hanno tirato fuori!”.
Immedesimazione o empatia?
Sta a noi decidere. Immedesimazione o empatia? Erano meglio Crash Bandicoot e Ratchet, o Sam Porter Brideges e te stesso? Non solo, anche quegli eroi che oggi nascono ancora come figure esclusivamente videoludiche – pensiamo a Nathan Drake o a Kratos – stanno scomparendo. Il primo, dopo 4 strepitosi capitoli di Uncharted, non sembra ritornerà in una nuova avventura; il secondo lascerà invece la scena per far posto a un nuovo protagonista. Ed i remake? Le mascotte del passato continuano a vivere, certo, ma non sono “nuove”. Cosa preferiamo quindi, amare un eroe ed accompagnarlo nella sua avventura, così come accade durante la proiezione in sala, oppure essere noi quell’eroe, ricrearlo esattamente come siamo (o come vorremo essere), e girarlo direttamente noi quel film?
Il mondo dei videogiochi, inutile negarlo, sta percorrendo nuove strade, ed è bene che sia così. Quel buffo e per certi tratti incomprensibile sprite a 8 bit di un tempo si sta evolvendo, e noi con lui, ed è l’araldo di questo nuovo percorso. Una strada che va verso nuovi media, e da essi cerca di assorbire ed imparare più che può. Ed il videogioco, Kojima ne è certo, è il mezzo migliore per condensare il meglio dell’uno e dell’altro aspetto. E allora non ci resta che credere anche noi nella forza dell’immedesimazione, o in quella dell’empatia. Oppure, perché no, in tutte e due.