Il 2020 è ormai alle porte, e un altro decennio si sta per chiudere all’insegna della cifra tonda. Proprio per questa occasione abbiamo quindi pensato di realizzare uno speciale che racchiudesse al suo interno una lista composta da alcuni titoli che, secondo noi, hanno portato maggior cambiamenti al concetto di gaming in questi ultimi e fertilissimi anni. Lasciando da parte qualche piccola lacrima di malinconia e nostalgia, vi segnaliamo otto titoli che, più o meno volontariamente, hanno influenzato in qualche modo il nostro videogiocare.
Alcuni di questi sono riusciti a fondare un vero e proprio genere partendo quasi da zero, e ad entrare sia di prepotenza nelle case dei videogiocatori, sia ad insediarsi definitivamente nella cultura di massa popolare. Altri ancora hanno settato nuovi standard per il mondo videoludico, valicando le barriere dell’era digitale e protraendosi oltre, fino al ritorno delle vere, sane, e semplici radici dell’esperienza ludica.
Altri ancora, invece, sono diventati dei pionieri di quello che ormai rappresenta il business legato agli e-Sport, che riempiono tanto gli stadi quanto i canali su Twitch. Ovviamente, ricordiamo che le nostre classifiche non vogliono essere in alcun modo chiuse e monolitiche: sono realtà sempre aperte a un nuovi spunti, interazioni e suggerimenti da parte dei lettori che ci seguono – anche perché il concetto stesso di gaming è, per ognuno, un qualcosa di estremamente soggettivo.
Fortnite: la rivoluzione dei Battle Royale
Amato da tantissimi e odiato altrettanto, Fortnite è diventato indubbiamente un prodotto di successo tale da meritarsi un posto nella cultura popolare. Sviluppato da Epic Games, il titolo è infatti diventato qualcosa di più di un videogioco. È argomento di discussione tra gruppi di amici, un passatempo da sfruttare una volta tornati da scuola o dal lavoro. E la carta vincente giocata da Epic sta nel fatto che sia un prodotto free to play, e mai pay to win.
Proprio il suo format gratuito e innovativo infatti, il Battle Royale, è ciò che ha reso Fornite un fenomeno di carattere mondiale. Una lotta all’ultima picconata, tra fughe, inseguimenti, nascondigli e maestosi fortini. Un mondo in cui tutti i giocatori iniziano allo stesso modo, vulnerabili, senza che possano ottenere vantaggi se non guadandoseli a suon di colpi di scena durante la partita. Il tutto avviluppato ad una trama apparentemente violenta, ma in realtà alleggerita da una grafica cartoonesca, scherzosa e festosa, arricchita da personaggi dai costumi bizzarri e dalla totale assenza di sangue.
Un mix efficace e fortunato, questo, che ha appassionato soprattutto i giovani utenti. Perché il concetto di gaming proposto dal nuovo genere Battle Royale è quello di un mondo che possa essere improntato soprattutto sulla spettacolarizzazione, sia attiva che passiva. Fortnite (non ce ne vogliano i meno convinti) è un gioco divertente, sia da vedere per gli spettatori che da giocare, per i partecipanti. E il fatto che ognuno possa giocare gratuitamente insieme ai propri amici, e che non sia solo la bravura ma anche l’astuzia a far portare a casa la vittoria, lo ha reso un prodotto adatto veramente a tutti. Il gaming è allora diventato, anche grazie a Fortnite, parte della cultura di massa, di una moda ancora sulla cresta dell’onda, un passatempo che anche i meno addetti ai “lavori videoludici” hanno sperimentato e saputo apprezzare: perché è spettacolo, è leggero, ed è divertente.
The Last of Us: l’importanza della narrazione nel gaming come nel cinema
The Last of Us è indubbiamente uno dei veri capolavori dell’ultimo decennio. Raccontando una storia post-apocalittica unica e potente, ci presenta una narrazione che corrisponde a quanto di meglio visto in altri media, e perfettamente fusa all’interno di un gameplay che fila, soprattutto in sua funzione. Un po’ come accade quando si compie il matrimonio tra sceneggiatura e macchina da presa. The Last of Us, infatti, raggiunge vette elevate anche per il suo continuo strizzare l’occhio ad alcuni dei film dello stesso genere (Children of the Men e 28 giorni dopo, per citarne giusto un paio).
The Last of Us propone ai giocatori un’esperienza esclusivamente single-player, e regala una narrazione avvincente ed emozionante che con successo riesce a mantenere i giocatori estremamente coinvolti, similmente a quanto avviene per una serie TV ben realizzata. Druckmann, dal canto suo, è sicuramente uno scrittore esperto e molto competente, ed è riuscito a dare vita al titolo impostandolo in modo efficacemente cinematografico, come se fosse stato in qualche modo pensato anche per la cinepresa. Il gaming, allora, si allinea con il cinema, per qualità e costruzione – e da ciò non è escluso nemmeno il doppiaggio.
Come se fosse un film interattivo, in The Last of Us siamo noi, insieme a Joel ed Ellie, a far scorrere la narrazione: non solo osserviamo su schermo tutte le vicissitudini dei protagonisti, ma viviamo con loro la vita che li ha portati a ritrovarsi insieme, uniti, altalenanti in un rapporto surrogato di padre e figlia. E proprio come in un film, o anche in un libro, il rapporto tra Joel ed Ellie riesce a fare da colonna portante per l’intera opera di Naughty Dog, con quel loro continuo scambio di battute e di silenzi, mentre attuano la loro evoluzione, in un percorso di formazione così umano e sapientemente approfondito.
Minecraft: il limite è solo l’immaginazione
Con Minecraft ci sarebbe forse poco da dire, in realtà. Chi è che non lo conosce, del resto? Potrebbe essere forse considerato come il Lego del mondo digitale. Il suo impatto culturale è stato considerevole, tanto che insieme a lui è cresciuta una generazione intera di fantasiosi creatori e improbabili ingegneri. Lanciato sul mercato esattamente dieci anni fa, questo piccolo gioco, nato indipendente, si è affermato come punto di riferimento per l’intrattenimento e come pietra miliare della cultura videoludica. Minecraft è, del resto, come un enorme parco giochi aperto 24 ore su 24, un immenso insieme di attività racchiuso all’interno del gioco stesso.
Con i suoi voxel a blocchi, e tutti quegli inconfondibili effetti audio, Minecraft non sembra uscito dall’anno 2009, né tanto meno sembra allinearsi agli standard dei suoi concorrenti attuali. Eppure, eccolo qui, inserito nella lista dei titoli che hanno cambiato il concetto di gaming in quest’ultimo decennio. Minecraft è stato infatti il primo videogioco non pensato come tale, a diventare pure un mezzo finalizzato anche all’apprendimento. Non a caso, una delle sue varie versioni ha trovato posto e funzione in un contesto diverso, conservando il suo linguaggio ma espandendolo al mondo dell’educazione addirittura scolastica.
L’educazione, infatti (e questo lo insegna anche la pedagogia) prevede anche una fase ludica, nei termini dell’apprendimento. E cosa può esserci di più ludico di un gioco? Esattamente come le vecchie “costruzioni”, o i più rifiniti Lego, Minecraft offre ai giocatori, dai più piccoli ai più grandi, un mondo che non ha limiti e confini. Un gioco in cui la fantasia è la reale protagonista di ogni singola esperienza. Diventa quasi impossibile trovare due persone che vivono Minecraft allo stesso modo… un po’ come per la vita, del resto. Non è azzardato dire, allora, che Minecraft incarni l’essenza stessa del gioco, di quell’attività più pura e semplice: non propone obbiettivi precisi, non offre forzature, e non ti obbliga a seguire nessuna meccanica in particolare. Ed è per questo che non annoia mai. Lascia decidere a te qual è il tuo scopo, e ti permette di portarlo a termine di conseguenza. Ti fa giocare, semplicemente. Il gaming è quindi portato all’estremo, valica i confini del mero mezzo digitale, e allo stesso tempo ritorna alle radici della natura del gioco, in cui l’unico limite è soltanto la tua immaginazione.
Zelda Breath of The Wild: tutto un altro open world
Negli apprezzatissimi open world ormai si sa, il gioco rientra completamente nelle tue mani. Puoi scegliere quello che fare quasi a 360 gradi, in quasi ogni aspetto del gioco, sia in termini di durata che di quest e missioni da completare. Da decenni, però, i titoli del genere si sovrappongono, prendendo in prestito idee, aggiungendole o rimuovendole di volta in volta. La cosa magica di Zelda Breath of the Wild, tuttavia, è che non sfrutta queste regole: non è stato pensato come l’ennesimo tassello messo in cima ad una torre.
La fortunata IP di casa Kyoto sembra infatti un gioco open world proveniente da un universo parallelo. È un mondo aperto nel senso più puro del termine, e premia l’esplorazione e la sperimentazione dei giocatori, li ricompensa con la risoluzione agli enigmi. L’immensa mappa in cui si viene catapultati diventa un posto che si vuole (e non “si deve”!) visitare, esplorare, vivere. Ecco perché il titolo di Nintendo sembra separato e distinto dai giochi del passato, e risulta indubbiamente uno dei più significativi del decennio. Breath of the Wild presenta un mondo bellissimo, pittorico, in attesa di essere esplorato, e assaggiato in ogni sua sfumatura, così pieno di avventura e magia. Un mondo in cui il gaming assume tutto il senso dell’esplorazione, della pura e semplice voglia di conoscere, viaggiare e scoprire ed incuriosirsi: di mettersi in cammino e vedere cosa mai potrà accadere dall’altra parte della montagna o della collina.
Breath of the Wild fonde la sua formula di gioco di ruolo di open world, poi, con un cast di personaggi dalle storie meravigliose, ognuno luccicante di un’aura fiabesca. Non è un gioco facile, eppure è perfettamente apprezzabile da bambini, veterani, e da coloro alle prime armi. Provoca i giocatori e li sfida costantemente con nuovi problemi e nuove soluzioni da trovare, o inventare. Breath of the Wild è sicuramente l’avventura più sontuosa del decennio, e un degno memoriale per Satoru Iwata, che ci ha tristemente lasciati nel 2015.
Dark Souls: perché videogiocare è una cosa seria
Per anni abbiamo parlato di Dark Souls in termini di difficoltà, il modo in cui punisce i giocatori per i loro errori. Persino la campagna di marketing enfatizzava questo aspetto di sfida, sfruttando slogan del tipo “preparati a morire”. Il combattimento ti costringe a prendere decisioni strategiche in tempo reale e ad imparare dai tuoi errori, poiché ogni morte insegna al giocatore una lezione. La maggior parte dei giochi esiste per intrattenere e assecondare il giocatore, ma questo non è il caso di Dark Souls: in questo suo mondo, è il giocatore che deve capire come adeguarsi per vivere, trascorrere il tempo e proseguire.
Dark Souls è pure diventato un metro di paragone o di classificazione (un po’ come i Metroidvania), diventando così l’emblema di tutti quei giochi di combattimento da incubo, tremendamente difficili da padroneggiare. Il cupo mondo fantasy di Dark Souls è caratterizzato da rivoluzionarie meccaniche di gioco multiplayer, un design di livello intricato e interconnesso, una narrazione ambientale e un livello di difficoltà estenuante, seguendo quanto già fatto dalla stessa FromSoftware con Demon’s Souls, e preannunciando altri capolavori come Bloodborne e Sekiro: Shadows Die Twice. Dark Souls è niente meno che il pioniere di quello che a tutti gli effetti è stato definito come un nuovo genere (o sottogenere dell’action RPG), le quali modalità sono state riprese da una moltitudine sempre crescente di titoli, un genere che con riverenza riprende appunto il nome della sua origine: il “Soulslike”
Pokémon GO: il fenomeno virale della realtà aumentata
Un gioco che ha conquistato il mondo, che ha portato il concetto di gaming (mobile) oltre gli schermi, coinvolgendo a tutto tondo la vita reale. Come? Camminando, esplorando e interagendo dal vivo con i propri amici e altri utenti. Un gioco che è riuscito a far scendere dalla sedia, o dal divano, i videogiocatori. Il mondo di gioco è là fuori, non più dentro casa.
Seguendo le orme del suo predecessore “Ingress” nato dalla stessa Niantic, ma sfruttando un nome altisonante a livello mondiale come quello delle creaturine tascabili di Game Freak, Pokémon GO ha scardinato allora il binomio che vede agli estremi il gaming da un lato e la sedentarietà dall’altra. Così ha portato al decadimento dei pregiudizi che rendono il gaming un’attività solitaria e tendenzialmente alienante, che porta all’isolamento e all’asocialità. Insomma, fin dal suo fortunatissimo lancio sul mercato, Pokémon GO è diventato (e si è presentato come) l’emblema di quello che dovrebbe essere condurre una vita sana: tanto movimento e divertenti interazioni sociali “in real life”.
A distanza di tre anni, Pokémon GO è ancora qui, con molte più funzionalità, aggiornamenti regolari, server stabili e milioni di giocatori in tutto il mondo. A discapito di molti (anche analisti) che lo davano per spacciato già a pochi mesi dalla sua uscita. Nonostante queste poco ottimistiche previsioni, Pokémon GO è diventato in realtà il primo gioco AR davvero popolare, il primo a gettare delle solide e funzionali basi per molti altri titoli a venire.
Overwatch: il divertimento è per tutti
Annunciato originariamente alla Blizzcon del 2014, Overwatch era destinato a diventare un classico della cultura videoludica. E, a distanza di anni, lo è ancora. Il successo di Overwatch è dovuto soprattutto alla sua originalità, seppur non rivoluzionaria e non innovativa. Il titolo si presenta però come un modo diverso di intendere i fps. Anzitutto è un fps improntato specificatamente al multiplayer, che aggiunge elementi moba, ed è stato reso semplice e intuitivo, risultando così adatto a tutti, nessuno escluso.
Overwatch è in grado, infatti, di intrattenere pro player e casual della domenica, e di farlo sempre nei migliore dei modi – ovvero facendo divertire. Non serve essere dei perfetti cecchini per potersi godere una bella partita insieme al proprio team: il gioco offre una vasta selezione di personaggi, sempre cambiabili anche a partita già avviata, pure per chi ha una mira non propriamente al top, ma che vuole comunque approcciarsi ai fps ed entrare per la prima nel mondo del gaming di genere.
La costante necessità di non salire di livello, ma solamente di migliorare le proprie skill e di divertirsi, da soli o insieme agli amici, è ciò che crea veramente dipendenza dal titolo. Questo è il motivo per cui ha così tanto successo. È divertente, semplice, per tutti. Poiché anche il suo messaggio è semplice: il gaming è divertimento, e il divertimento è per tutti. E anche sulla questione dell’inclusività tanto cara a questo fortunato figlio di Blizzard, in realtà, ce ne sarebbe tanto (di piacevole) da dire.
League of Legends: il consolidamento del gaming come eSport
League of Legends esiste da esattamente un decennio. Era il 27 ottobre 2008, quando venne mostrato in anteprima al mondo intero, per poi venire pubblicato l’anno successivo da Riot Games. A quel tempo forse nessuno avrebbe potuto immaginarlo, ma quello di cui forse spesso ci dimentichiamo è di come tutt’oggi abbia contribuito a cambiare il concetto di gaming spingendolo da un lato al mondo agonistico, e dall’altro al mondo della spettacolarizzazione.
Grazie a LoL, infatti, l’evoluzione del gaming ha trasformato Twitch in una massiccia piattaforma multimediale, ha portato gli eSports nel mondo “mainstream”, e ha dimostrato che anche i giochi gratuiti possono essere fantastici, esattamente come quelli a pagamento. Al di là del genere sul quale fonda la sua esperienza di gioco (stiamo del resto parlando di un MOBA), LoL è diventato un vero e proprio catalizzatore culturale, messianico fautore di importanti eventi dal vivo di massa di tipo competitivo. In effetti, non sarebbe azzardato affermare che è proprio grazie a LoL che oggi, in questo dicembre 2019, siamo tutti riunti su Twitch a guardare accattivanti live di gameplay – affascinante fonte di intrattenimento per alcuni, e ricca fonte di business per altri.
A partire dalla pubblicazione e dall’incredibile successo mondiale che è riuscito a riscuotere LoL, il gaming è (finalmente) stato concepito, passo dopo passo, come un’attività competitiva e devota all’agonismo, uno sport a tutti gli effetti, nonostante la sua natura sicuramente poco “aerobica” o spericolata. Il gaming come sport, come competizione, come fenomeno da stadio e da biglietti tutti esauriti, che riunisce appassionati e giocatori professionisti, è ora un qualcosa di concreto e reale. Un sistema tangibile che coinvolge tutti gli appassionati e li catapulta all’interno di un business che fattura milioni – tra sponsorship e finanziamenti – in cui appaiono nomi di marchi del calibro di Red Bull o Vodafone, giusto per citarne un paio. E questo anche grazie a League of Legends.
Questo allora è l’evoluzione che ha visto il concetto di gaming protagonista in quest’ultimo decennio. Con il trascorrere degli anni, videogiocare è diventato uno spettacolo incastonato nella cultura di massa, un nuovo modo di fare narrazione con le immagini e l’interazione, uno strumento che allena e tiene sempre libere la fantasia e l’immaginazione. Ma videogiocare è anche inclusivo e per tutti, sia come (e)sport competitivo che per motivazione e sfida personale, un media con il quale possiamo esplorare liberamente nuovi mondi e gestire la nostra esperienza di gioco a nostro piacimento.
La lista dei titoli, però, potrebbe dilungarsi ulteriormente se considerassimo un po’ più approfonditamente qualche altra sfumatura del gaming e analizzassimo più in dettaglio qualche altro titolo relativo – soprattutto tra le recenti uscite. In particolare, sarebbe molto interessante cercare di pronosticare quanto effettivamente Death Stranding, l’ultima stra chiacchierata fatica partorita dalla mente di Hideo Kojima, potrà realmente essere in grado di influenzare il concetto di gaming negli anni a venire. Molto si è parlato dopo la sua uscita sul mercato, sia nel bene che nel male; ma dovranno passare ancora altri 10 anni, forse, per capire se la strada battuta dall’intuizione di Kojima potrà far nascere tutti i frutti da lui stesso sperati – e assiduamente proclamati come ancora troppo “visionari”, per essere compresi in questo 2019 ormai agli sgoccioli.