E’ da poco arrivato sui nostri PC e console una nuova avventura dedicata all’investigatore più famoso di tutti i tempi: Sherlock Holmes: The Devil’s Daughter. L’ottavo titolo della serie sviluppata dallo studio ucraino Frogwares si presenta con ottime innovazioni e spunti, ma anche con alcuni innesti che sembrano inseriti di forza per cercare di variare il gameplay. Quello che ci arriva è comunque un buon prodotto, che oltre ad avere una buona longevità, presenta delle varianti che lo fanno diventare appetibile anche per la rigiocabilità. Facciamo dunque un salto a Baker Street e andiamo ad analizzare più da vicino il gioco!
Poker di casi
La trama di Sherlock Holmes The Devil’s Daughter si svolge in modo parallelo: da una parte avremo 4 casi da risolvere, e dall’altra la trama principale che procede passo passo. I quattro misteri (cinque, se contiamo la trama principale che sarà il quinto caso aggiunto alla fine del quarto) sono tutti avvincenti sia per le vicende, sia per gli enigmi proposti sia per la varietà delle tematiche trattate. La trama madre riguarderà la figlia adottiva di Sherlock Holmes, che verrà a vivere a casa nostra dopo l’allagamento del collegio, e che per forza di cose verrà da noi allo stesso tempo trascurata e protetta. In questo periodo di tempo, la bambina farà amicizia e passerà molto tempo con una giovane donna, da poco divenuta la nostra vicina di casa. Sia per la trama avvincente e la varietà dei casi, sia per le diverse scelte possibili, la rigiocabilità di questo titolo è ottima. A differenza dei capitoli precedenti, questo episodio sviluppato da Frogwares ha una peculiarità: Sherlock e Watson sono molto somiglianti esteticamente a Robert Downey Jr. e Jude Law, che con tutta probabilità hanno liberamente ispirato il team. Oltre al restyling dei protagonisti, il gioco rispetto al predecessore riesce a mostrarsi più dinamico e avvincente, osando qualcosa in più.
Il beneficio del dubbio
Partiamo dal principio: la trama dei casi che affronteremo in Sherlock Holmes: The Devil’s Daughter avrà una certa linearità, ma starà a noi una volta raccolte tutte le tesserine, a ricomporre il mosaico nella sua interezza. Saremo noi caso per caso ad accusare gli eventuali colpevoli, e procederemo nel gioco anche se la scelta che avremo fatto non sarà quella giusta. In ognuno di questi, raccoglieremo pian piano degli indizi, che in una schermata “mentale” potremo combinare tra loro ed ottenere delle prove: queste prove andranno da noi interpretate, ed andranno ad unirsi man mano tra loro per creare una conclusione. Ce ne sono molte e diverse, ed oltre a puntare il dito avremo anche l’onore di scegliere il destino del colpevole (o innocente, se sbaglierete) come un vero e proprio giudice.
Va detto, in ogni caso, che la difficoltà nella prima fase (collegare indizi per creare prove) è praticamente nulla, dato che una volta trovati potremo creare i collegamenti per tentativi. Il gioco dispone di due livelli di difficoltà: quella standard, abbastanza guidata, e la difficoltà più elevata dove “le nostre doti di detective verranno messe a dura prova“. Anche se per almeno un paio di enigmi la sfida si è rivelata degna, la maggior parte dei puzzle che ci verranno posti saranno intuitivi e più che risolvibili; in compenso però saranno vari, geniali nella composizione, e anche piacevoli da risolvere.
Ultime, ma non per importanza, abbiamo le splendide fasi di dialogo, che vanno a metà dall’interattivo al semplice “risposta multipla”. Durante i dialoghi possiamo come sempre selezionare gli argomenti da trattare prima o dopo, ma con la variante “indizio”: se durante il nostro caso avremo trovato o analizzato un oggetto in particolare, e il nostro interlocutore cerca di mentirci con una frase, avremo un tempo limite per “obiettare” e giustificare la nostra interruzione, mettendolo di fronte alla propria bugia. Non finisce qui: tutti i personaggi importanti che hanno un ruolo fondamentale nella storia, avranno qualcosa da raccontarci su di loro semplicemente con il loro aspetto. Mentre parliamo con loro, possiamo far partire una sorta di “indentikit personale” analizzandone vestiti, oggetti, e tratti personali, e per farlo dovremo far scorrere per tutto il loro corpo la telecamera cercando di individuarli. Avremo un tempo limite che scorrerà a rallentatore per trovarli e scegliere a volte tra una doppia opzione (se le scelte che faremo saranno sbagliate, l’identikit verrà definito “impreciso”). State pensando all’analisi fatta a Mary durante la cena con Watston in uno dei film? Esattamente.
Tecnica “Elementare”
Il gameplay dinamico di Sherlock Holmes: The Devil’s Daughter presenta un buon 50% di trovate ottime, ma con il rovescio della medaglia molto marcato di un comparto tecnico che arranca. Perché dico ciò? Il titolo non è stato sviluppato con un budget stellare, e per questo il progetto del team di sviluppo ha dovuto rispettare dei limiti sia monetari si tecnici. Le fasi di esplorazione delle stanze e della ricerca oggetti, ci pone davanti alla funzionale possibilità di scegliere a nostro gradimento la visuale in prima o in terza persona (a parte qualche raro caso dove è obbligata). Gli oggetti con i quali potremo interagire sono evidenziati con dei piccoli cerchi, che diventeranno verdi se con essi avremo interagito in tutti i modi utili.
La ricerca dei dettagli vedrà in alcuni frangenti la necessità di utilizzare una delle abilità speciali di Holmes: attivare una particolare visione grigia, nella quale alcuni piccoli particolari che altrimenti non avremmo notato si tingeranno di un giallo dorato, e potremo dunque interagirci. Idea splendida, ma purtroppo guidata: potremo facilmente intuire quali sono i posti in cui usarla grazie all’icona che comparirà in alto a destra sullo schermo. Altra abilità molto cinematografica di cui dispone il nostro detective in The Devil’s Daughter, è “l’immaginazione”: altra abilità speciale, che consiste nel ricostruire con la fantasia un determinato evento, per capire effettivamente come si sono svolti (o si svolgeranno) determinati eventi. Anche se anche per questa vedremo l’iconaconsiglio comparire in alto a destra, rimane comunque un’idea geniale e molto apprezzabile che fa passare in secondo piano qualche neo tecnico (specie sul puntamento). Pad alla mano, anche in questo caso viene richiamata alla mente l’abilità di ricostruzione dello Sherlock di R.D. Jr. Provare per credere.
Oltre alla ricerca degli indizi, continuando nel gioco ci troveremo ad affrontare delle differenti fasi riassunte in mini giochi, come origliare i discorsi degli altri, passare da una parte all’altra di un’asse, o altre cose. Purtroppo alcuni di questi, anche se votati a variare il gameplay, risultano inseriti a forza in un contesto che per alcuni versi non gli appartiene. I movimenti dei nostri personaggi (in alcune scene non sarete al comando dell’investigatore) mentre camminano sono tecnicamente buoni, anche se in alcune fasi rimangono legnosi all’occhio. Peggior fortuna hanno avuto le azioni e le interazioni, dove la fisica e le animazioni di una porta che si apre, e il movimento stesso per farlo, sono superati da tempo. Le aree da visitare con il gironzolare libero sono piuttosto limitate, e non offrono molti scorci interessanti… vi consigliamo di utilizzare dunque l’amato viaggio rapido.
Ritratto sbiadito
Come già detto, i nei principali dell’opera di Frogwares si annidano nella realizzazione tecnica che purtroppo fa inceppare gli ingranaggi in varie occasioni. Per cominciare la grafica e i dettagli: quelli dei personaggi principali sono creati con la dovuta cura, così come le espressioni, ma non possiamo dire la stessa cosa dei personaggi di sfondo. Oltre a risultare leggermente più squadrati, passeremo loro vicino sentendo il brusio delle loro parole, o frasi vere e proprie… ma la loro bocca non si aprirà mai! Una svista decisamente anti estetica, che farebbe digrignare i denti a tutti gli amanti delle avventure grafiche. Anche le ambientazioni non fanno certo pensare ad un gioco del 2016, complice anche la scelta dello studio di utilizzare in The Devil’s Daughter l’Unreal Engine 3, che di certo non poteva offrire molto di più. A rendere ancor più rugginoso il tutto, si aggiunge un tempo di caricamento esagerato nei cambi di location, senza contare i piccoli passaggi a schermo nero tra la fase di gameplay ed i minigiochi. Il comparto sonoro poteva rivelare qualche sorpresa in più, ma purtroppo oltre ad un doppiaggio inglese di buona fattura, non troviamo una localizzazione italiana per le voci. La colonna sonora è per la maggior parte del gioco anonima, mentre ravviva la situazione nelle scene d’azione.